martedì 26 luglio 2011

La vita dopo il petrolio

                                   
Appena tornato dal Ghana e dai suoi sogni di gloria petroliferi, mi imbatto in un articolo di Al Jazeera che proprio sul petrolio si focalizza. Il titolo recita "La maledizione del picco del petrolio". Il picco è un termine tecnico con cui gli scenziati della terra hanno definito una data spartiacque: il giorno in cui la produzione massima possibile di petrolio sarà raggiunta; il giorno a partire dal quale il numero di barili estratti ogni 24 ore inizierà gradatamente a calare; piano piano, in discesa, verso l'apocalittico livello zero. Il picco, in pratica, significa l'accensione della spia di riserva nel serbatoio dell'oro nero mondiale. A partire dal picco i prezzi del petrolio e dei suoi derivati cominceranno a salire a ritmi sempre più vertiginosi, rendendo benzina e gasolio sempre più beni di lusso. Sempre più fuori dal nostro potere d'acquisto.
I massimi esperti in materia si stanno appunto confrontando per stabilire le esatte coordinate temporali del temutissimo picco. C'è addirittura chi dice che lo abbiamo già passato, chi pensa che il momento è esattamente ora, fino ai più baldanzosi che spingono il livello massimo di produzione nel "lontano" 2020. Il dibattito è aperto. Intanto, però, ci sono i dati reali: quelli relativi ai volumi di petrolio estratti negli ultimi anni. Ebbene, i numeri dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (massima autorità in materia nel mondo occidentale) dicono che dal 2006 a oggi il livello di produzione è rimasto pressochè stazionario. Quindi già da un pezzo non si parla più di salita. Semmai di falsopiano: anticamera di una discesa sempre più difficile da esorcizzare. Anche perché nel frattempo la domanda, trainata dalle nuove locomotive della crescita India e Cina, continua a galoppare: l'aumento del consumo di petrolio dal 1994 al 2006 è stato in media del 2% annuo (sempre dati Aie), e pure le previsioni per il 2011 e il 2012 fanno registrare aumenti dello stesso tenore. Ancora uno studio dell'Aie stima che per tenere il passo a questi aumenti costanti di domanda (combinati col graduale prosciugamento dei pozzi oggi esistenti) ci vorrebbe una nuova Arabia Saudita da scoprire ogni 4 anni.
Insomma, sono tante, autorevoli e tutte credibili le voci a sostegno di un passaggio storico epocale entro lo spazio di un decennio. Il 2020 incombe come l'inizio di una nuova era in cui si dovrà imparare a fare a meno del dio petrolio. Cominciando dai trasporti, il settore dove la nostra dipendenza dall'oro nero è particolarmente marcata. Negli Stati Uniti, per esempio, oggi il petrolio serve ad alimentare il 69% degli spostamenti di persone e merci. "Suggerisco alla gente di andare sul loro sito internet preferito per prenotare viaggi aerei - argomenta sarcasticamente Anthony Perl, direttore del programma studi urbani all'università canadese di Vancouver -: fate caso alla tariffa di businness class, perché a breve diventerà quello il prezzo standard per viaggiare". Forse la generazione Ryanair ha i mesi contati, o forse l'avvento dell'auto elettrica riuscirà a non intaccare il nostro stile di vita. Certo è che, anche nel caso di un lungo periodo di austerity, non tutti i mali verrebbero per nuocere. La chiusura del rubinetto del distributore potrebbe costringerci a riscoprire un modo di muoverci più ecologicamente e socialmente sostenibile: come le macchine al completo con 5 passeggeri a bordo, invece del solito e triste guidatore solitario; e poi i pullman, i treni, le biciclette, o il carosello di furgoni collettivi "ghanesi" a tutte le ore del giorno e della notte. Inoltre, l'incidenza sempre maggiore dei costi di trasporto sul prezzo delle merci potrebbe spronarci a credere una volta per tutte nelle virtù della filiera corta. Oggi comprare dal contadino è una pratica di nicchia. Domani chissà. Io penso positivo.   
http://english.aljazeera.net/indepth/features/2011/07/201172081613634207.html

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