lunedì 29 agosto 2011

L'Italia dei disonesti

Le ricchezze dell'Italia sono distribuite tutt'altro che equamente. Bankitalia stima che la metà dei soldi del Belpaese (intesi come risparmi più patrimoni) è in mano ad appena il 10% della popolazione. Servirebbero politiche pubbliche di redistribuzione, per ridurre il divario e garantire anche ai meno abbienti un ventaglio accettabile di diritti: dalla salute all'istruzione, dalla possibilità di muoversi a quella di informarsi e comunicare. Peccato però che le casse dello Stato e degli enti locali, ora più che mai, piangano miseria. Una miseria che fa tornare d'attualità il male endemico della nostra amata penisola: l'evasione fiscale.

mercoledì 24 agosto 2011

Proibizionismo, effetti collaterali


Da sempre i nostri governi stanno combattendo le tossicodipendenze a colpi di divieti. Illegale l'eroina, illegali la cannabis, la cocaina, le droghe sintetiche... Inseguendo l'utopia di debellare completamente l'uso di tali sostanze, abbiamo di fatto regalato un businness miliardario al mondo del crimine organizzato, che ovviamente non si fa scrupoli etici in materia di gestione.

giovedì 18 agosto 2011

Finché c'è Kim c'è sindacato

Kim Jin Suk ha 52 anni e una tempra invidiabile. Dal gennaio di quest’anno vive arrampicata su una gru del porto di Busan, in Corea del Sud, a 35 metri di altezza. Kim non è una acrobata circense, né tantomeno una bestia da reality. Nella vita fa la sindacalista. Sa cosa vuol dire lottare: specialmente quando la propria azienda (la multinazionale dei cantieri navali Hanjin) salta fuori con un licenziamento in blocco di 400 lavoratori; senza discussioni e senza condizioni. Si poteva chinare la testa,

martedì 16 agosto 2011

L'avvocato dei diritti umani

La sede del Gruppo Protezione Diritti Umani di Kharkiv e' un bugigattolo semiclandestino di via Ivanova. Per accedervi bisogna avventurarsi dentro un cortile interno labirintico, e chiedere ripetutamente informazioni ai residenti in entrata e uscita dai portoni. Il locale al piano terra e' spartano e senza pretese. Ma l'apparenza inganna,

lunedì 15 agosto 2011

Un'altra Kharkiv

I treni dell'Ucraina assomigliano a signore attempate che con gli anni non hanno perso l'eleganza, lo smalto e la voglia di vivere. I treni dell'Ucraina costano poco perfino per le tasche degli ucraini. Viaggiano sempre pieni, preferibilmente di notte. Gia', perche' anche in terza classe sul treno a lunga percorrenza Kiev-Kharkiv si riesce a dormire.

domenica 14 agosto 2011

Siamo tutti metallari

La mia passione smodata per l'Ucraina ha a che fare con le bizzarrie del sorteggio di Europa League, che nel giro di tre anni (pescando alla cieca fra decine di squadre del vecchio continente) ha abbinato per due volte la Sampdoria ai gialloblu del Metalist Kharkiv. Kharkiv e' una citta' di 500mila abitanti al confine con la Russia, a 12 ore di treno da Kiev. Il 99% degli italiani ne ignorera' perfino l'esistenza. Io invece ci sono stato gia' due volte: la prima volta come una sfida, per correre dietro la mia squadra del cuore fino all'angolo piu' remoto dell'Europa dell'est; la seconda volta come una rimpatriata, per ritrovare le facce, i paesaggi e gli odori di cui mi ero clamorosamente innamorato.
Oggi il mio personalissimo gemellaggio con i tifosi del Metalist vive quindi la sua terza puntata. Ci incontriamo a Kiev, dove la compagine "metallara" gioca in trasferta una delle partite d'avvio della serie A ucraina. Ci incontriamo grazie alla costanza di Misha, un informatico di 23 anni che in questi mesi non ha mai smesso di tenermi al corrente sulle vicende della sua squadra, alimentando in me la scimmia di tornare da loro prima o poi. E allora rieccoci insieme, dentro il bailamme sensazionale della stazione piu' maestosa e piu' affollata che conosca. Soffitti altissimi, lampadari galattici, sale d'attesa a perdita d'occhio: moderna e antica, da un lato sovietica, dall'altro futurista; un miracolo d'architettura, vedere per credere.
Misha e i suoi due amici hanno le idee chiare su tempi e programmi. E' pomeriggio, mancano ancora 3 ore al fischio d'inizio, ma dalla loro andatura forsennata sembra che le cose da fare prima dello stadio non manchino. Ci imbuchiamo nel tunnel della metropolitana, che fra le poche eredita' positive lasciate dall'economia di regime occupa sicuramente un posto d'onore. Scendendo sulle scale mobili a precipizio e incuneandosi sotto archi trionfali, muri piastrellati e lucernari d'antan, sembra proprio di tornare indietro agli anni 70. E' tutto vecchio, dai cartelli indicatori ai vagoni del trenino fino ai sedili in cuoio: ma allo stesso tempo tutto pulito e perfettamente funzionante. Ci avventuriamo sulla linea  in direzione nord, per poi scendere alla fermata Obolon: il quartiere che da' il nome non solo all'avversaria di stasera del Metalist, ma anche alla birra piu' amata dagli ucraini. E non a caso, una volta sbucati nel solito anfiteatro di periferia (dinosauri di 30 piani made in Urss, viali a 4 corsie sparati verso ogni direzione), la nostra prima tappa e' proprio lo stabilimento della birra nazionale. Ci uniamo a una processione di camionisti coi baffoni, in coda davanti al punto vendita esterno alla fabbrica. I ragazzi fanno scorta di bottiglie, brindano alla prossima vittoria e scattano foto ricordo: sembra un rito da ripetere sempre uguale a ogni trasferta a Obolon, e in effetti la compagnia mi conferma che e' cosi'. La trasferta di oggi e' molto apprezzata da Misha e compagni anche perche', come se non bastasse, vicino allo stadio e' stata avvistata pure una spiaggia. Non siamo al mare, ma al fiume: un serpente infinito chiamato Dnepr, che per ampiezza di bacino supera abbondantemente il nostro Arno. L'acqua a ben vedere ha un colore poco rassicurante, e sul Kyiv Post avevo letto che da quest'anno la balneazione del fiume nella capitale era stata interdetta. Ma i vacanzieri proletari di Obolon non stanno troppo a sottilizzare: si tuffano tutti o quasi, famiglie al completo, facendosi anche delle gran belle nuotate. L'arenile poi e' pulito e ben tenuto, con quei grattacieli sovietici subito dietro la spiaggia che fanno molto "Sognando la California (lato B)". Insomma, si sta bene. E difatti i miei amici metallari non si fanno pregare, regalandosi un godurioso bagno in mutande.
Il tempo di ricomporsi e rifocillarsi con gli ultimi panini di mamuska rimasti nello zainetto, ed ecco che scocca l'ora dello stadio. Il campo dell'Obolon si erge nel bel mezzo della zona residenziale, con la capienza di una nostra tonnara di C2: c'e' una bella tribuna, una mini gradinata sull'altro lato lungo del rettangolo, e neanche l'ombra di una curva. Il prato in compenso e' bellissimo, e molto vicino agli spalti. Davanti al cancello del settore ospiti conto anche due centinaia di tifosi metallari materializzatisi in ultima battuta sul piazzaletto. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per divertirsi. 
Misha mi porge di soppiatto un biglietto d'ingresso, e io faccio per chiedergli quanto gli devo. Ma subito dopo mi accorgo che i tagliandi arrivano non dalla biglietteria bensi' dalle mani insospettabili di un poliziotto: i foglietti volano di mano in mano come fossero volantini. Sembra un sogno. Ma com'e' questa manna del settore ospiti gratis? "Sono accordi fra le societa', a noi nelle trasferte lunghe i biglietti ce li regalano quasi sempre", e' la delucidazione di Misha, che accresce sempre piu' in me un senso estatico di capogiro. Noi in Italia ci stiamo disabituando (tra tessere, blindature e prefiltraggi), mentre qui la serie A ha ancora il sapore di una festa di popolo. Una festa che dura 90 minuti, coi ragazzi e le ragazze del Metalist che mi coinvolgono nei cori: col tamburo, con le sciarpe, col megafono, con tanta voce e niente alcol. Il calore del tifo e' cosi' alto che l'attenzione per la partita in se' diventa relativa. In alcuni frangenti mi scopro l'unico spettatore attento dello spicchio gialloblu, mentre i miei vicini di gradinata si concentrano solo e soltanto a cantare. Per la cronaca, le emozioni e i gol non mancheranno, anche per "merito" di un arbitraggio molto approssimativo e di un rigore per parte inventato di sana pianta. Il Metalist si mostra debole in difesa e forte in attacco, dove il brasiliano Tyson sfoggia numeri da campione vero. Finisce 3-3, e non e' un bel risultato per il Metalist, che come ogni anno affronta il campionato con l'obiettivo dichiarato di una qualificazione europea. "This is football", sorride amaro Misha. Ma le emozioni per me non sono ancora finite: c'e' ancora tempo per un autostop d'emergenza in seconda serata, con 5 passeggeri stipati nell'Alfa Romeo rossa di un buon samaritano. E poi ancora di corsa, fino all'appuntamento con il treno agganciato per un soffio, a mezzanotte e mezzo, nel ventre sempre in ebollizione della meravigliosa stazione di Kiev. Il viaggio continua. 
            

sabato 13 agosto 2011

Ucraina: democrazia in bilico

Lo stato di salute di una democrazia si misura a partire dai diritti delle opposizioni. Chi critica il governo ha la possibilita' di farlo pubblicamente e liberamente? Oppure viene continuamente tartassato, ostacolato e messo a tacere da chi controlla le leve del potere? Nell'Ucraina di oggi, purtroppo, vale "la seconda che hai detto". La leader del principale partito di opposizione di Kiev (a capo dell'esecutivo fino alle elezioni dello scorso anno) e' stata messa in carcere due settimane fa insieme al suo ex ministro degli interni.
Julia Timoshenko, 50enne pasionaria della rivoluzione arancione del 2004, e' accusata di aver danneggiato l'interesse nazionale nel contratto di fornitura di gas sottoscritto con la Russia nel 2009: contratto che in effetti ha visto le bollette del riscaldamento delle famiglie ucraine impennarsi, ma che probabilmente e' stato frutto di un rapporto di forze nettamente sbilanciato dalla parte di Mosca, con la multinazionale russa Gazprom libera di ricattare e di imporre le proprie condizioni in quanto unico vero fornitore. L'accordo, salutato al tempo con sollievo anche da noi europei d'occidente (che tuttora riceviamo buona parte del nostro gas dalla Russia via Ucraina), meriterebbe forse di essere ridiscusso e approfondito dalla attuale leadership ucraina, fra l'altro molto piu' gradita al Cremlino rispetto al precedente ticket Yuschenko-Timoshenko. Ma la carcerazione della Timoshenko sembra avere poco se non niente a che fare con la risoluzione del problema gas. Piuttosto, la mossa del presidente Yanukovich sa molto di rappresaglia a fini meramente politici: qui a Kiev i tempi della giustizia sono molto veloci, e la condanna e' nell'aria, prevista entro fine anno; la Timoshenko rischia 10 anni di galera, e un conseguente fuorigioco per tutte le prossime scadenze elettorali.
Mentre le cancellerie occidentali si affrettano a comunicare il proprio disappunto per l'arresto di due settimane fa, la gente di Kiev sembra vivere questo travaglio in preda a una indifferenza paranoica. Da noi se un Romano Prodi della situazione finisse dietro le sbarre prima della sentenza e con simili capi d'accusa, mi immagino in quale pandemonio saremmo in grado di far precipitare le strade e le piazze di Roma. Qui a Kiev, invece, davanti ai cancelli del tribunale dove si sta celebrando il processo sono assiepate solo poche centinaia di persone: molti pensionati, pochissimi ragazzi. Uno di questi pochi e' Vasa, biondissimo studente di ingegneria, armato della pazienza necessaria per rispondere alle mie domande maccheroniche e stralunate: "Purtroppo la gente ha perso fiducia nella democrazia. Nel 2004 per protestare contro le elezioni truccate e convincere lo stesso Yanukovich a dimettersi eravamo centinaia di migliaia, assiepati in queste stesse tende su questo stesso viale. La gente vedeva in Julia Timoshenko un futuro migliore, vicino all'Europa. Oggi invece sono piu' i poliziotti di noi manifestanti. Il popolo non ha visto miglioramenti, ma al contrario, sempre la stessa corruzione. Siamo stanchi, cosi' rischiamo di non capire che da questo processo non dipende solo il futuro della Timoshenko, ma della nostra democrazia tutta".
Ieri mattina gli avvocati della Timoshenko hanno presentato un ricorso a una sorta di tribunale del riesame, per chiedere la scarcerazione della ex premier in attesa della sentenza. Ma non c'e' stato niente da fare. Il giudice ha confermato la custodia cautelare, a seguito di un presunto comportamento gravemente irrispettoso - da parte della bionda piu' chiacchierata di Ucraina - nei confronti della corte. L'ennesima batosta per Julia e il suo gruppetto di pensionati supporter, che sembrano sempre piu' corpi estranei e fuori sintonia rispetto al popolo dello shopping in transito davanti al tribunale, sul marciapiede mondano del vialone Kresciatik.
La mia giornata da blogger d'assalto prosegue nel pomeriggio alla sede del Kyiv Post, uno dei fenomeni culturali piu' interessanti e innovativi dell'Ucraina postsovietica. Si tratta di un quotidiano ucraino con giornalisti ucraini e notizie ucraine, ma interamente scritto in lingua inglese. Con una tiratura di 25mila copie giornaliere, rappresenta uno strumento d'elite dedicato al mondo dei diplomatici, degli intellettuali e degli uomini d'affari stranieri. Dopo averlo avvistato in Italia attraverso internet, oggi finalmente me lo ritrovo fra le mani in versione cartacea, ammirandone la veste grafica di prima grandezza. Pur piombando in redazione senza alcun preavviso, il personale mi riceve con cordialita'. A prendermi in cura e' una certa Oksana, responsabile delle sezioni Economia e Tempo Libero. Mi da' appuntamento per cena: nel frattempo riesco a fare capolino fra i desk, notando una eta' media impensabile per i nostri standard gerontocratici, insieme a una maggioranza schiacciante di firme femminili. Qualche ora dopo, davanti a un te' e a una torta di mele deliziosa, Oksana aggiungera' al mio puzzle politico dell'Ucraina altri tasselli importanti: "Negli ultimi anni la Timoshenko ha dato un'immagine di se' troppo arrivista, che le ha alienato la simpatia della gente. La rottura con l'ex presidente Yuschenko e' stata imperdonabile, se si fossero presentati insieme alle elezioni presidenziali del 2010 avrebbe vinto sicuramente uno di loro due". Poi Oksana mi racconta di lei, del suo lavoro da giornalista in Ucraina, con le luci e le ombre annesse e connesse: "Lavoro al Kyiv Post da tre anni, e il giornale e' libero, con proprietari esteri: prima una multinazionale americana, oggi un imprenditore anglo-pachistano. Riusciamo a fare bene il lavoro di giornalisti, che e' quello di avere un approccio critico verso il potere. I nostri editoriali sull'arresto della Timoshenko pero' ci stanno creando dei problemi: gli sponsor hanno mugugnato, gradirebbero una linea piu' prudente, probabilmente temono dei contraccolpi negativi da parte del governo". Il sogno di Oksana e' quello di misurarsi con una opportunita' professionale all'estero: "Non per sempre, ma comunque per un periodo significativo. Tempo fa avevo preso contatti con una testata in Repubblica Ceca, chiedendo all'ambasciata un visto di 8 mesi. Mi hanno concesso solo 2 settimane". Dimentico all'improvviso la torta di mele, mi vergogno in quanto rappresentante dell'Europa fortezza anti-immigrati che discrimina perfino le giornaliste, e comincio a pendere dalle labbra di questa ragazza: padrona di due lauree, di sogni al plurale e di un inglese mille volte migliore del mio, imparato perdipiu' senza uno straccio di esperienza in un paese anglofono. Finche' esistono persone come lei, in un'Ucraina e in un'Europa migliore si puo' ancora sperare.          

martedì 9 agosto 2011

Campania Libera

Pasquale ha 26 anni, un sorriso contagioso e una vena canora non indifferente: se non funziona l'autoradio lui nemmeno mette in moto. Giuseppe è nato da genitori nigeriani, ma la sua prima lingua è il napoletano: scugnizzo di seconda generazione. Ettore di anni ne ha 20, ma di patente ancora non se ne parla; per due volte è stato bocciato all'esame; dice che con 1000 euro da queste parti un test superato si può anche comprare, e preso dallo sconforto sta rischiando seriamente di cadere in tentazione. Fabio è fra i più piccoli della compagnia: ancora adolescente, prima geometri, ma con due occhi verdi e molto, molto svegli. Dicono che sia bravissimo a giocare a pallone e che le giovanili del Napoli siano un traguardo alla sua portata. Ma soprattutto Fabio è il figlio di Pasquale Spierto, boss camorrista ergastolano che fino a tre anni fa era il padrone di casa in questa villa di via Ruffini, nel centro di San Cipriano d'Aversa, il cuore di Gomorra. Ora la villa ha cambiato faccia: è stato affidata a una cooperativa della rete di Libera, l'associazione antimafia di don Luigi Ciotti. E' diventata casa di una comunità per disabili psichici, e un punto di incontro aperto a tutta la cittadinanza. L'alto muro di cinta è stato volutamente ed emblematicamente squarciato, a testimoniare la nuova filosofia di gestione: da luogo di soggezione a sede di campi scout in estate, di gite scolastiche in inverno, e di giochi e di doposcuola a getto continuo per tutti i ragazzini del paese. E la vittoria più bella per i responsabili della cooperativa è che Fabio non ha smesso di sentirsi a casa in questo posto, scegliendo di condividere un percorso educativo opposto a quello respirato in famiglia negli anni dell'infanzia.
In un territorio dove il turismo non sanno nemmeno cosa sia - così come il codice della strada e la pianificazione urbanistica... - le facce degli scout in trasferta nei campi di Libera sono le uniche presenze non indigene del paese. I nostri fazzolettoni colorati entrano nei bar e nei negozi di San Cipriano, e calamitano l'attenzione degli abitanti. "Ormai è il terzo anno che ospitiamo i clan Agesci del nord e centro Italia - ricorda Raffaella, una delle responsabili di Libera Caserta - la gente sta cominciando a percepire la vostra presenza come familiare". I più coraggiosi in effetti salutano per primi e cercano di attaccare discorso. Sono curiosi, vogliono sapere cosa facciamo, per quanto tempo ci tratteniamo. E noi non chiediamo altro. L'interazione è divertente. Non ce l'aspettavamo di trovarci ad abitare nel pieno del centro storico. Credevamo di stazionare in una fattoria sperduta. Invece l'agricoltura è solo una delle tante attività proposteci dagli animatori di Libera. Ogni mattina noi scout ci dividiamo in gruppetti e ogni giorno cambiamo "mestiere": oltre alla raccolta dei pomodori c'è l'attività di falegnameria, per dotare di cestini e panchine l'unica piazza degna di questo nome di San Cipriano. E poi, fiore all'occhiello della rete di cooperative antimafia, un ristorante pizzeria che dà lavoro a ragazzi down e altre persone svantaggiate. Il nome è tutto un programma: "Nuova cucina organizzata", a mò di sberleffo alla tristemente nota "Nuova camorra organizzata". Noi diamo una mano ai fornelli, in sala e nel servizio catering. E la penultima sera ci regaliamo finalmente una serata da clienti, per gustare una pizza che resterà per sempre nei nostri cuori.
La cosa più bella di tutto questo è che i guaglioni gravitanti intorno alla villa dove abitiamo non si limitano a scherzare con noi o a sfidarci a ping-pong e biliardino. Passano con noi proprio tutta la giornata. Anche la mattina a consegnare pasti e sminuzzare il legno. Anche il pomeriggio ad ascoltare le testimonianze delle persone della zona (giornalisti, avvocati, commercianti, carabinieri) che vivono in prima linea la lotta alle prepotenze della camorra, e che intessono i loro vissuti nella figura quasi mitica di don Giuseppe Diana: il prete amante della legalità ucciso dai casalesi nel 1994, diventato il punto di riferimento ideale e il marchio di qualità dell'impegno di Libera sul territorio. "Saviano ci ha aiutato tantissimo per richiamare l'attenzione della società civile e dello stato italiano sulla nostra provincia - riflette Tonino, un altro dei capisaldi di Libera Caserta - Ma allo stesso tempo ci preme sganciarci al più presto dall'etichetta di terra di Gomorra, che comunica pessimismo e mancanza di vie d'uscita. Noi preferiamo un'altra etichetta: le terre di don Peppe Diana". Quando vedono i loro ex gianburrasca sgobbare ed imparare insieme a noi nelle attività di volontariato e di dibattito, gli operatori del bene confiscato di via Ruffini gongolano a metà fra l'euforia e la commozione: "Il primo anno erano ingestibili, si menavano, facevano danni, dovevo mandarli via a calci - confessa il subcomandante Beppe, con la voce rotta dalla commozione davanti a un mare di scout - ma poi il nostro rapporto è migliorato, sempre di più, sempre di più...". La voglia di condividere emozioni con noi è tantissima: questi ragazzi sono affamati di umanità. La loro genuinità sguaiata e i loro occhiali scuri da tamarri ci conquistano. Il giorno prima dei saluti si lasciano andare a progetti impensabili: "Gli scout so' belli. Il prossimo anno ci iscriviamo nel gruppo di Aversa. Vogliamo imparare, per far nascere gli scout anche qui a San Cipriano". Magari sarebbe la chiave giusta per stanare di casa anche la componente femminile della gioventù paesana, al momento oppressa, perlopiù, sotto il giogo di una società maschilista e di una vita mondana ridotta al lumicino.
Il sabato mattina ci congediamo con le ultime foto ricordo e con la fragranza dei cornetti appena sfornati dalla pasticceria, di cui Pasquale ci omaggia come superbo regalo di arrivederci. Arrivederci, appunto. Perché l'invito ai guaglioni di San Cipriano a venirci a trovare un weekend di questi a Peccioli è stato formulato, e già si vocifera la prima settimana di settembre come data probabile per il nostro sdebitamento in materia di accoglienza e guasconeria. La nostra personalissima festa per i 150 anni di Italia unita è solo alla fine del primo tempo. 

lunedì 8 agosto 2011

Un nuovo meraviglioso articolo 18

Castelvolturno è una cittadina della costa casertana dove, su 18mila abitanti, due terzi sono africani: in maggioranza ghanesi, ma anche provenienti da paesi vicini del golfo di Guinea, come Liberia, Nigeria o Burkina Faso. Questi ragazzi sono nella quasi totalità dei casi vittime di sfruttamento: lavorano a giornata nei campi di pomodori e soprattutto nei cantieri edili della camorra. Senza documenti, senza protezioni, senza dignità, a volte anche senza tetto. La township ghanese di fronte al mare della Campania si è creata a partire da un processo originato negli anni 80, con il terremoto dell'Irpinia e con i sopravvissuti al sisma trasferiti d'emergenza nelle seconde case dei villeggianti di Castelvolturno. Come in un film già visto, l'emergenza si è poi cronicizzata, trasformando la località domizia da perla balneare a lazzeretto degradato. Il resto lo ha fatto l'inquinamento degli ultimi anni, che dal Volturno si è riversato in mare rendendo il litorale della zona non più balneabile. E' così che Castelvolturno è precipitata a poco a poco in un buco nero dei diritti umani. Nella Forte dei Marmi del sud divenuta città fantasma si è riversata la marea nera di migranti africani in cerca di un ricovero di fortuna. E la criminalità organizzata ci si è lanciata sopra con la solita spietatezza. "Questi ragazzi sono sfruttati già a partire dagli affitti esosi che sono costretti a pagare per vivere nelle ex case turistiche abbandonate - mi racconta Gianluca Castaldi, responsabile immigrazione della Caritas di Caserta - la camorra esige una tariffa anche per far mettere il materasso dentro un grande capannone sventrato". Una giornata di lavoro nei cantieri senza diritti e senza orari è pagata 30 euro se va bene. "Altrimenti - rincara la dose Gianluca - i soldi possono anche non arrivare, e i carabinieri invece di aiutare questi ragazzi spesso si uniscono loro stessi alla catena delle vessazioni, saccheggiando le abitazioni dei ghanesi e portando loro via gli effetti personali".
Sembra un incubo, e in effetti lo è per moltissimi. Eppure questi ragazzi non si sono dati per vinti. In tanti di loro non hanno smesso di chiedere aiuto, di denunciare i soprusi, di organizzare scioperi e di intentare cause in tribunale. E proprio da un palazzo di giustizia è filtrato, giusto un mese fa, un raggio di speranza di valore inestimabile. La Caritas e gli avvocati dei migranti si sono appigliati all'articolo 18. Ma non a quello dello statuto dei lavoratori (difficile da far valere quando il lavoro è completamente in nero). Bensì quello del testo unico dell'immigrazione, organizzato intorno alla tanto contestata legge Bossi-Fini. Ebbene, l'articolo 18 di tale legge conferisce un diritto di protezione e di tutela (con tanto di permesso di soggiorno) agli immigrati senza documenti vittime di sfruttamento. "Nella legge - spiega Gianluca - viene portato un solo esempio esplicito, quello delle prostitute vittime del racket. Noi abbiamo tentato di allargare il campo di applicazione del provvedimento, chiedendo che venisse fatto valere anche per tutti gli immigrati vittime di altri tipi di sfruttamento".
Gianluca e la sua squadra hanno selezionato, fra le tante di Castelvolturno, quattro denunce particolarmente solide dal punto di vista del materiale probatorio. Un muratore tenuto prigioniero giorno e notte nel cantiere, un panettiere costretto a lavorare con una impastatrice troppo veloce e quindi pericolosa (perse tre dita), un carrozziere schiavizzato e seviziato nella vicina Casal di Principe... I ragazzi sono andati in aula a testimoniare, hanno portato riscontri e particolari atti a incastrare i loro caporali. E il giudice di Santa Maria Capua Vetere ha dato loro ragione, con una sentenza storica che ora crea un precedente. Si apre cioè la strada per altre decine e decine di ricorsi analoghi, basati su questa applicazione più estesa dell'articolo 18 della Bossi-Fini.
Anche di questo si parla oggi nell'assemblea del movimento degli immigrati africani di Caserta, in un sabato pomeriggio tropicale, a un passo dalla bellissima reggia, fra le mura di una vecchia fabbrica dismessa diventata 20 anni fa uno spazio di incontro collettivo. E' qui che la figura di Gianluca diventa epica, assommando al lavoro come dipendente diocesano il ruolo di coordinatore di un centro sociale. Da noi sembra una contraddizioni in termini. A Caserta invece si può, grazie alle idee coraggiose e lungimiranti del vescovo emerito Raffaele Nogaro, capace di unire mondo ecclesiale e galassia antagonista in un binomio commovente; quasi un caso di studio. Le centinaia di ragazzi riuniti in assemblea parlano in inglese e organizzano iniziative: l'8 ottobre scorso attuarono uno sciopero storico contro il caporalato di Castelvolturno; a dicembre si sono travestiti da Babbi Natali e hanno invaso le vie di Caserta per insegnare a ballare la musica raggae e regalare caramelle a chi si dichiarava contro il razzismo. Sempre nei mesi scorsi è stata organizzata una colletta in favore dei cassintegrati (italiani) di una vicina azienda metalmeccanica; e ora all'ordine del giorno c'è un'ennesima manifestazione di piazza in programma il prossimo mese di ottobre. "Quando i ragazzi scendono in strada il traffico cittadino si paralizza - sorride Gianluca - ma la musica raggae piace anche ai casertani, che pian piano si lasciano contagiare nelle rivendicazioni e nella festa".
E al movimento antirazzista non manca il carisma delle donne. Quello di Mary, per esempio, che proprio nei pressi della via Domitiana (il cuore dell'enclave black di Castelvolturno) si è inventata un centro culturale afroitaliano. L'inaugurazione ufficiale sarà a fine mese. Ma la casa è pronta già adesso. C'è uno spazio ristoro, una piccola biblioteca, una sala tv, una sezione di artigianato etnico. "Ha fatto tutto da sola. Prima che arrivasse lei questa casa praticamente non esisteva", la incensa Gianluca, presentandola con tutti gli onori a me e ai miei amici del gruppo scout di Peccioli. Ma Mary non ha assolutamente bisogno di portavoce. Al di là dell'ottimo italiano, ha una forza comunicativa e un'energia appassionata che rapiscono immediatamente l'interlocutore. Mary ci descrive il suo albero dei valori (vedi foto) e ci racconta del suo arrivo a Castelvolturno alla fine degli anni 80: ripercorre i sacrifici che ha fatto per mandare all'università i suoi figli rimasti senza padre. "Ho fatto tutti i lavori: badante, cameriera, ballerina, artista, cuoca... tutto tranne che la prostituta". Fra l'altro, Mary un'artista lo è per davvero. Le pareti del centro culturale sono costellate di quadri dipinti a mano da lei stessa e contenenti messaggi di fratellanza e di denuncia contro i danni del neocolonialismo occidentale in Africa. E poi ci sono svariate gigantografie di Miriam Makeba, la cantante sudafricana contro l'apartheid, che è morta proprio a Castelvolturno, due anni fa, dopo un concerto dedicato ai 4 ragazzi ghanesi assassinati dalla camorra nel 2008. Il centro culturale di Mary non a caso è intitolato a lei. Quattro stanze con dentro un patrimonio dell'umanità non meno prezioso di quelli dell'Unesco. Un baluardo di orgoglio e di dignità della persona che tutti gli italiani dovrebbero visitare.
Un altro mondo è possibile. E comincia da qui.

Per saperne di più: http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/06/29/news/erano_schiavi_avranno_il_permesso_di_soggiorno-18438729/