lunedì 8 agosto 2011

Un nuovo meraviglioso articolo 18

Castelvolturno è una cittadina della costa casertana dove, su 18mila abitanti, due terzi sono africani: in maggioranza ghanesi, ma anche provenienti da paesi vicini del golfo di Guinea, come Liberia, Nigeria o Burkina Faso. Questi ragazzi sono nella quasi totalità dei casi vittime di sfruttamento: lavorano a giornata nei campi di pomodori e soprattutto nei cantieri edili della camorra. Senza documenti, senza protezioni, senza dignità, a volte anche senza tetto. La township ghanese di fronte al mare della Campania si è creata a partire da un processo originato negli anni 80, con il terremoto dell'Irpinia e con i sopravvissuti al sisma trasferiti d'emergenza nelle seconde case dei villeggianti di Castelvolturno. Come in un film già visto, l'emergenza si è poi cronicizzata, trasformando la località domizia da perla balneare a lazzeretto degradato. Il resto lo ha fatto l'inquinamento degli ultimi anni, che dal Volturno si è riversato in mare rendendo il litorale della zona non più balneabile. E' così che Castelvolturno è precipitata a poco a poco in un buco nero dei diritti umani. Nella Forte dei Marmi del sud divenuta città fantasma si è riversata la marea nera di migranti africani in cerca di un ricovero di fortuna. E la criminalità organizzata ci si è lanciata sopra con la solita spietatezza. "Questi ragazzi sono sfruttati già a partire dagli affitti esosi che sono costretti a pagare per vivere nelle ex case turistiche abbandonate - mi racconta Gianluca Castaldi, responsabile immigrazione della Caritas di Caserta - la camorra esige una tariffa anche per far mettere il materasso dentro un grande capannone sventrato". Una giornata di lavoro nei cantieri senza diritti e senza orari è pagata 30 euro se va bene. "Altrimenti - rincara la dose Gianluca - i soldi possono anche non arrivare, e i carabinieri invece di aiutare questi ragazzi spesso si uniscono loro stessi alla catena delle vessazioni, saccheggiando le abitazioni dei ghanesi e portando loro via gli effetti personali".
Sembra un incubo, e in effetti lo è per moltissimi. Eppure questi ragazzi non si sono dati per vinti. In tanti di loro non hanno smesso di chiedere aiuto, di denunciare i soprusi, di organizzare scioperi e di intentare cause in tribunale. E proprio da un palazzo di giustizia è filtrato, giusto un mese fa, un raggio di speranza di valore inestimabile. La Caritas e gli avvocati dei migranti si sono appigliati all'articolo 18. Ma non a quello dello statuto dei lavoratori (difficile da far valere quando il lavoro è completamente in nero). Bensì quello del testo unico dell'immigrazione, organizzato intorno alla tanto contestata legge Bossi-Fini. Ebbene, l'articolo 18 di tale legge conferisce un diritto di protezione e di tutela (con tanto di permesso di soggiorno) agli immigrati senza documenti vittime di sfruttamento. "Nella legge - spiega Gianluca - viene portato un solo esempio esplicito, quello delle prostitute vittime del racket. Noi abbiamo tentato di allargare il campo di applicazione del provvedimento, chiedendo che venisse fatto valere anche per tutti gli immigrati vittime di altri tipi di sfruttamento".
Gianluca e la sua squadra hanno selezionato, fra le tante di Castelvolturno, quattro denunce particolarmente solide dal punto di vista del materiale probatorio. Un muratore tenuto prigioniero giorno e notte nel cantiere, un panettiere costretto a lavorare con una impastatrice troppo veloce e quindi pericolosa (perse tre dita), un carrozziere schiavizzato e seviziato nella vicina Casal di Principe... I ragazzi sono andati in aula a testimoniare, hanno portato riscontri e particolari atti a incastrare i loro caporali. E il giudice di Santa Maria Capua Vetere ha dato loro ragione, con una sentenza storica che ora crea un precedente. Si apre cioè la strada per altre decine e decine di ricorsi analoghi, basati su questa applicazione più estesa dell'articolo 18 della Bossi-Fini.
Anche di questo si parla oggi nell'assemblea del movimento degli immigrati africani di Caserta, in un sabato pomeriggio tropicale, a un passo dalla bellissima reggia, fra le mura di una vecchia fabbrica dismessa diventata 20 anni fa uno spazio di incontro collettivo. E' qui che la figura di Gianluca diventa epica, assommando al lavoro come dipendente diocesano il ruolo di coordinatore di un centro sociale. Da noi sembra una contraddizioni in termini. A Caserta invece si può, grazie alle idee coraggiose e lungimiranti del vescovo emerito Raffaele Nogaro, capace di unire mondo ecclesiale e galassia antagonista in un binomio commovente; quasi un caso di studio. Le centinaia di ragazzi riuniti in assemblea parlano in inglese e organizzano iniziative: l'8 ottobre scorso attuarono uno sciopero storico contro il caporalato di Castelvolturno; a dicembre si sono travestiti da Babbi Natali e hanno invaso le vie di Caserta per insegnare a ballare la musica raggae e regalare caramelle a chi si dichiarava contro il razzismo. Sempre nei mesi scorsi è stata organizzata una colletta in favore dei cassintegrati (italiani) di una vicina azienda metalmeccanica; e ora all'ordine del giorno c'è un'ennesima manifestazione di piazza in programma il prossimo mese di ottobre. "Quando i ragazzi scendono in strada il traffico cittadino si paralizza - sorride Gianluca - ma la musica raggae piace anche ai casertani, che pian piano si lasciano contagiare nelle rivendicazioni e nella festa".
E al movimento antirazzista non manca il carisma delle donne. Quello di Mary, per esempio, che proprio nei pressi della via Domitiana (il cuore dell'enclave black di Castelvolturno) si è inventata un centro culturale afroitaliano. L'inaugurazione ufficiale sarà a fine mese. Ma la casa è pronta già adesso. C'è uno spazio ristoro, una piccola biblioteca, una sala tv, una sezione di artigianato etnico. "Ha fatto tutto da sola. Prima che arrivasse lei questa casa praticamente non esisteva", la incensa Gianluca, presentandola con tutti gli onori a me e ai miei amici del gruppo scout di Peccioli. Ma Mary non ha assolutamente bisogno di portavoce. Al di là dell'ottimo italiano, ha una forza comunicativa e un'energia appassionata che rapiscono immediatamente l'interlocutore. Mary ci descrive il suo albero dei valori (vedi foto) e ci racconta del suo arrivo a Castelvolturno alla fine degli anni 80: ripercorre i sacrifici che ha fatto per mandare all'università i suoi figli rimasti senza padre. "Ho fatto tutti i lavori: badante, cameriera, ballerina, artista, cuoca... tutto tranne che la prostituta". Fra l'altro, Mary un'artista lo è per davvero. Le pareti del centro culturale sono costellate di quadri dipinti a mano da lei stessa e contenenti messaggi di fratellanza e di denuncia contro i danni del neocolonialismo occidentale in Africa. E poi ci sono svariate gigantografie di Miriam Makeba, la cantante sudafricana contro l'apartheid, che è morta proprio a Castelvolturno, due anni fa, dopo un concerto dedicato ai 4 ragazzi ghanesi assassinati dalla camorra nel 2008. Il centro culturale di Mary non a caso è intitolato a lei. Quattro stanze con dentro un patrimonio dell'umanità non meno prezioso di quelli dell'Unesco. Un baluardo di orgoglio e di dignità della persona che tutti gli italiani dovrebbero visitare.
Un altro mondo è possibile. E comincia da qui.

Per saperne di più: http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/06/29/news/erano_schiavi_avranno_il_permesso_di_soggiorno-18438729/    

Nessun commento:

Posta un commento

(si prega la sintesi)