venerdì 25 novembre 2011

La crisi sulla pelle loro


Mentre il governo tedesco continua a tergiversare sia riguardo l'introduzione di buoni di debito europei (al posto di quelli nazionali) sia a proposito di una revisione dei Trattati comunitari che finalmente conceda alla Banca centrale europea il potere vitale di stampare moneta per gli stati membri, alla periferia dell'Europa la crisi continua a mordere sulla pelle delle famiglie. L'ultima bomba occupazionale è esplosa a Termini Imerese, periferia di Palermo, dove da oggi uno dei più importanti stabilimenti della Fiat ha smesso di produrre.

 L'ad Sergio Marchionne ha fischiato la fine, e 1500 lavoratori (più altri 500 dell'indotto) sono rimasti sulla strada. Per loro il futuro è tetro e pieno di incognite. Ce l'hanno con Marchionne, ovviamente, che dopo aver abbassato la serranda ora fa anche il prezioso sulla manciata di milioni di euro di ammortizzatori sociali da lasciare in dote ai licenziati. La Fiat ne offre 18, i sindacati (solo ora con una posizione unitaria) ne chiedono 24: la differenza fra 18 e 24 milioni è la stessa che passa fra il concedere un paracadute verso il pre-pensionamento a 750 ex dipendenti e il concederlo a soli 550 di loro. La trattativa continua, nella speranza che il Lingotto trovi la decenza nei prossimi giorni di allungare le briciole che mancano per colmare le richieste dei sindacati. Per l'altra metà degli operai, invece, i più giovani, l'alternativa industriale è una azienda molisana (Dr Motor) che ha già messo le mani sullo stabilimento di Termini per lanciare un nuovo marchio automobilistico nazionale. Ma le referenze dell'imprenditore responsabile, Massimo Di Risio, non sono delle migliori: i suoi operai in Molise non ricevono lo stipendio da 3 mesi, e i debiti verso i fornitori ammontano a 30 milioni. Insomma, niente di buono sotto il sole. E le famiglie degli operai licenziati continuano a sospirare e denunciare. Guardate la dignità e la bravura dei ragazzi del liceo classico di Termini Imerese, molti dei quali figli di licenziati, che in un tg amatoriale hanno raccolto il loro punto di vista genuino.
Intanto la stessa Fiat fa parlare di sé anche negli stabilimenti italiani tuttora in funzione. Dalle prossime settimane il cosiddetto modello Pomigliano sarà esteso a tutte le fabbriche del Lingotto in territorio nazionale. Modello Pomigliano significa più straordinari obbligatori, meno pause, meno malattia e soprattutto addio al contratto nazionale metalmeccanici, con la conseguente uscita dagli organi di fabbrica delle sigle sindacali (a partire dalla maggioritaria Fiom-Cgil) che non si sono sentite di sottoscrivere con l'azienda il contratto-giro di vite. Applicando in pieno il modello dispotico "divide et impera", Marchionne ha usato l'arma del ricatto (o firmate o mi allargo in Polonia e in Serbia) per dividere i lavoratori e restringerne diritti e potere negoziale.
La situazione della Fiat, prima realtà industriale italiana, in realtà è solo la punta di un iceberg. Una crisi industriale che con pochissime eccezioni sembra destinata a fagocitare l'intero comparto manifatturiero italiano: le emorragie di posti di lavoro si sentono nel distretto conciario di Santa Croce come in quello tessile di Prato, per non parlare delle acciaierie di Piombino o della fabbrica di motori per auto (Eaton) che ha appena lasciato senza lavoro 500 operai a Massa. La legge del libero mercato (meno costi, più profitti) unita all'euro forte (buono solo per l'industria tedesca) ci sta prendendo a pallonate, trasferendo altrove i posti di lavoro. Le dichiarazioni anti-Marchionne del neoministro del lavoro Elsa Fornero fanno quasi tenerezza nella loro impotenza. L'impressione è che per risollevarci sia necessaria non una correzione di rotta, ma un cambio di paradigma economico radicale. Servirebbe uno stato, o meglio una Unione europea, col portafoglio pieno e tanti soldi da spendere per guidare un processo lungimirante di riconversione industriale. Perché sostituire una fabbrica di macchine con un'altra fabbrica di macchine, quando il modello di trasporti centrato sull'automobile sta dimostrando tutti i suoi limiti a livello di sostenibilità ambientale ed economica? Sogno un paese in cui il lavoro venga creato mirando in primo luogo all'utilità sociale (come accade oggi con la scuola pubblica o la sanità) indipendentemente dalla tossicodipendenza da profitti.
Tommaso Giani      

1 commento:

  1. sono d'accordo sul liberarsi dalla tossicodipendenza da profitti ma anche dal consumismo, però purtroppo un problema che riguarda tutti gli italiani, chi non ha la possibilità di partecipare ai giochi finanziari e rovinare e rovinarsi con la quella enorme casa da gioco lo fa con la roulette del gioco d'azzardo statale e mette le sue speranze nel lotto o nel bingo e poi consuma al di là di ogni ragionevolezza indebitandosi sempre di più magari anche essendo a cassa integrazione o senza lavoro ma non rinuncia a tentare di consumare cose che assolutamente sono superflue poi è vero la questione lavoro, la fiat gli italiani ne sarebbero legittimamente e moralmente i proprietari perché se la sono ampiamente pagata ma la colpa è anche loro invidiano i ricchi e tentano di fare come loro se non si cambia la testa e il cuore questo paese andrà in rovina insieme a tutti noi

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