mercoledì 16 novembre 2011

Brescia, un anno dopo la gru



Un anno fa, nel novembre del 2010, c'era una gru sulle prime pagine dei giornali italiani. E sopra quella gru c'era Jimmy: un ragazzo egiziano di 26 anni, con la kefiah bianca e nera avvolta intorno al collo, col naso raffreddato, con la parlantina sciolta e con un accento bresciano insospettabile. Io e Jimmy ci incontriamo grazie agli amici comuni di Radio Onda d'Urto, una emittente antagonista di Brescia che ogni giorno fa musica e informazione in totale autofinaziamento: oggi il tema del giorno in redazione è un video shock comparso sul sito di Repubblica, che documenta l'agonia di un senegalese morto nel dicembre scorso in una caserma cittadina; attacco d'asma violento, e 15 minuti fatali di solitudine in cella nonostante le drammatiche richieste di soccorso. http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/08/news/ecco_come_hanno_lasciato_morire_saidou_in_video_l_agonia_in_caserma_del_senegalese-24625620/.  Il trambusto e lo sbigottimento per la notizia sono palpabili in mezzo al via vai di giornalisti e avvocati nelle stanze della radio, ma per fortuna Jimmy ha ugualmente tempo e voglia di parlare: così mi regala il racconto in prima persona di una lotta coraggiosa, senza precedenti nel panorama delle comunità immigrate in Italia.


Una protesta durata 17 giorni, dal 30 ottobre al 15 novembre dell'anno scorso. Portata avanti in modo eclatante da 9 ragazzi di 5 diverse nazionalità (Egitto, Pakistan, Senegal, India, Marocco): tutti insieme arrampicati sopra una gru, in via San Faustino, nel cuore del centro città messo sottosopra dai cantieri della metropolitana. Perché la protesta? E perché la gru? La scintilla che fece da detonatore alla rabbia migrante fu il pasticcio della sanatoria-badanti indetta dal governo Berlusconi lo scorso anno. Un provvedimento che vide cambiare le regole del gioco a partita in corso, dato che in un primo tempo il permesso di soggiorno era stato garantito a tutti coloro i quali avessero esibito un contratto di lavoro in qualità di collaboratore domestico; mentre successivamente, a causa di una circolare del ministero degli interni spuntata nel pieno dell'estate, la platea degli aventi diritto veniva ristretta agli immigrati non colpiti da provvedimenti di espulsione. Un giro di vite beffardo e pieno di ipocrisia, tenendo conto che quasi l'intera platea dei richiedenti veniva da un periodo inevitabile di clandestinità (le leggi italiane non contemplano un permesso di soggiorno per cercare lavoro); i colpiti da provvedimento di espulsione avevano l'unica "colpa" di essere stati scoperti, a differenza dei più fortunati compagni di ventura non incappati nei controlli di polizia. Un senso di ingiustizia accresciuto dalla truffa dei 500 euro pagati al ministero a corredo della pratica: per i clandestini che avevano visto tramontare la propria candidatura a causa del cambiamento delle regole in itinere, quei soldi già versati non sono mai tornati indietro.
A Brescia, dove la numerosità e la varietà della componente migrante sono in termini relativi fra le più alte d'Italia, il malcontento non ha faticato ad emergere. L'escalation creativa delle forme di lotta è cominciata con un presidio in Prefettura, è proseguita con un grande corteo per le vie del centro; e infine, nata come un soprendente fuori programma della stessa manifestazione, ecco la salita sulla gru dei 9 intrepidi. "Io proprio in quella sanatoria il permesso di soggiorno l'avevo ottenuto - racconta Jimmy - ma sono andato su lo stesso, per solidarietà con chi era stato truffato". La richiesta degli attivisti arrampicatori era semplice: diritto per tutti i lavoratori clandestini (anche gli esclusi in corso d'opera) a vedersi riconosciuta la regolarizzazione. Il lunghissimo striscione lasciato penzolare dalla vetta della gru riassumeva il tutto in una parola: SANATORIA. Tramite megafono i ragazzi della gru lanciarono un appello al ministro Maroni a venire a parlare con loro: per scendere chiedevano una comunicazione ufficiale e rassicurante del ministero. Ministero che invece si limitò a gettare discredito sull'iniziativa illegale degli immigrati. Il cantiere della metropolitana doveva riprendere, la polizia fu chiamata a mostrare i muscoli.
Così il sostegno morale e materiale da parte dei bresciani radunati a fare il tifo sotto la gru fu sempre più ostacolato dalle forze dell'ordine, che organizzarono un cordone di blindati intorno al cantiere. Obiettivo: rendere la vita sempre più difficile ai ragazzi lassù, centellinando i rifornimenti da far salire con la fune in cima all'attrezzo. Col passare dei giorni il vettovagliamento veicolato da polizia e carabinieri fu limitato a viveri e poco altro, tagliando libri, giornali e telefoni cellulari ricaricati. Nonostante questo, la protesta dei ragazzi andò avanti: col freddo, sotto la pioggia, per più di due settimane. Non sono riusciti a ottenere dal governo la retromarcia che volevano, in compenso sono riusciti a far riflettere tanta gente, conquistandosi l'attenzione mediatica nazionale (il programma di Santoro approntò un collegamento in diretta sotto la gru) e la solidarietà concreta di tanti bresciani. Un gruppo di donne disegnò nella notte un grande cuore fatto di candele accese, e leggibile anche dagli occhi commossi dei ragazzi raggomitolati a 30 metri d'altezza. Altre persone intorno alla gru dettero manforte con presidi gastronomici e informativi, intercettando il passeggio distratto del popolo dello shopping. Pure il mondo studentesco e universitario si lasciò coinvolgere, mentre le trasmissioni di Radio Onda d'Urto fecero registrare in quei giorni un numero di contatti mai visto prima. Così quei ragazzi che stanno ringiovanendo e colorando la pelle di Brescia all'improvviso non erano più invisibili. Dall'alto della gru hanno potuto gridare i loro diritti e i loro sogni di normalità, contro una legge sull'immigrazione che sembra fatta apposta per creare clandestinità e sfruttamento. 
A un anno di distanza la gru di via San Faustino non è stata ancora rimossa. Ed è bello per me trovarla sempre lì. Mi aiuta a ricordare, a dare forma al racconto di Jimmy. Anche se i cantieri della metropolitana prima o poi finiranno, a me piace immaginare quella gru e quella piazza come un luogo della memoria. Una pagina di storia importante: da visitare, conoscere, capire; per onorare i sogni di giustizia dei tanti Martin Luther King del nostro paese. 
Tommaso Giani

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