martedì 23 ottobre 2012

I politici rubano le briciole


Sul blog di Alberto Bagnai (professore di economia all'università di Pescara) sta facendo scalpore questo grafico, compilato usando come fonte i dati della ragioneria generale dello stato e gli articoli del Sole 24 Ore.

Le sei colonnine quasi invisibili rappresentano i costi annui rispettivamente di camera, senato, comuni, regioni, province, contributi ai partiti. I famosi e famigerati costi della politica, che tanto fanno parlare sui giornali e sui telegiornali, sollevando ondate di sdegno collettivo da parte dell'opinione pubblica: tuttavia la forza dei numeri ci testimonia che certi finanziamenti e certi comportamenti, pur esecrabili sul fronte del senso dello stato e dell'etica pubblica, hanno in fin dei conti un peso molto relativo all'interno del computo complessivo delle spese dello stato. Le sei voci qualificanti i costi della politica si attestano complessivamente ben al di sotto dei 5 miliardi di euro annui.
Questa "prova della bilancia" assume contorni ancor più insospettabili se sull'altro piatto del grafico accostiamo i costi annui del Fiscal Compact e del Fondo Salva Stati: i famosi e altrettanto famigerati sacrifici all'insegna del "ce lo chiede l'Europa". Queste voci pesano enormemente sul bilancio dello stato italiano. L'adesione al Fiscal Compact, infatti, che implica la riduzione a tappe forzate del rapporto debito-Pil ed è stato ratificato senza colpo ferire dal nostro parlamento, richiederà all'Italia un taglio netto di quasi 50 miliardi all'anno a partire dal 2013. Un dato che supera di 10 volte i cosiddetti costi della politica. Per non parlare degli oneri richiesti all'Italia quale paese contribuente del Fondo Salva Stati, che in attesa di salvarci deve ora essere rimpinguato con un assegno annuo quantificabile per noi in 10 miliardi di euro.
I valori sulla bilancia cambiano diametralmente di segno se considerassimo al posto dell'importo la visibilità regalata ai due temi (costi della politica e costi degli ultimi trattati europei) da giornali e media nazionali. Da un ipotetico grafico del genere si vedrebbe una superiorità schiacciante a favore dei vari casi Fiorito, Zambetti, Lusi, ecc., mentre il Fiscal Compact è relegato a discussioni tecniche da addetti ai lavori, assolutamente fuori dalla portata culturale dell'uomo della strada. E allora viene quasi da pensare che questo accanimento sulle ruberie dei politici (che fanno male ma che non sono certo la ragione delle manovre lacrime e sangue del governo Monti) siano sovra-rappresentate ad arte per creare una sorta di effetto depistaggio; per nascondere alle persone comuni le sembianze inquietanti assunte dall'Unione europea e dalle sue diaboliche cure dimagranti prescritte agli stati.
Eppure spiegare cosa siano e cosa comportino il Fiscal Compact e il Fondo Salva Stati non sarebbe un'impresa poi così impossibile. In Francia se ne è parlato molto in sede di campagna elettorale, anche se per ora con pochi risultati tangibili da parte della presidenza Hollande. E anche dopo le elezioni ha creato dibattito Oltralpe un appello firmato da decine di economisti transalpini contro la logica e i dettami del Fiscal Compact. Da noi per ora regnano invece le tenebre dell'ignoranza: nelle primarie lattaginose del Pd la discussione sui trattati europei è del tutto assente. Forse sarebbe il caso che iniziassimo davvero a darci una mossa, prendendo noi stessi l'iniziativa in prima persona, e cominciando a passare parola.
Tommaso Giani
  

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