mercoledì 17 ottobre 2012

Dieci, cento, mille Malala


Malala Yusufzai è una ragazzina pakistana di 14 anni che lotta fra la vita e la morte in un ospedale della Gran Bretagna. Pochi giorni fa è stata vittima di un attentato a firma di un gruppo di guerriglieri talebani: Malala era a bordo del bus che la stava trasportando a scuola insieme ad altre studentesse, quando la squadraccia di uomini armati ha fatto irruzione sul mezzo pubblico e senza esitazione ha scelto lei come bersaglio per le loro pallottole.

Hanno scelto quel bus perché secondo i talebani, la cui influenza si estende non solo in Afghanistan ma anche nel nord-ovest del Pakistan (valle dello Swat), le ragazze che studiano sono una bestemmia: un attacco frontale alla loro ideologia oscurantista e maschilista che vorrebbe le donne il più possibile nascoste e soggiogate dentro le mura domestiche. Ma fra le bambine di quel bus i sicari non hanno sparato a caso: hanno cercato Malala, che della lotta per il diritto allo studio delle adolescenti pachistane era diventata un simbolo. Merito del documentario girato nel 2009 da un regista americano, che per alcuni giorni aveva filmato la vita quotidiana di Malala e del padre insegnante.
Quel documentario ora è cliccatissimo su internet, e guardandolo non è difficile rendersi conto del perché questa giovane studentessa fosse finita nel mirino. Nel filmato si vede Malala che esprimendosi in un inglese fluente sfida dialetticamente i talebani, invitandoli a trovare un solo passo del Corano che giustifichi gli abusi da loro perpetrati ai danni delle donne.
Hanno colpito Malala, ma stavolta la barbarie non si è mimetizzata nel solito gorgo di omertà. Troppo grande era l'affronto, troppo importanti la posta in gioco e il movente politico del tentato omicidio. Così il senso di indignazione ha rotto gli argini: migliaia di donne di tutto il Pakistan hanno preso coraggio e sono scese in piazza, sfidando i cliché maschilisti e i divieti fanatici degli integralisti islamici. Le donne hanno imbracciato fotografie di Malala, hanno alzato la voce a suo sostegno. La sua battaglia è diventata la loro battaglia. Come dire, prima di rubare il diritto allo studio alle nostre bambine dovrete passare anche sui nostri corpi.
Notizie come questa ci fanno sentire privilegiati, noi occidentali di ultima generazione, che con la scuola pubblica ci siamo nati. Ma allo stesso tempo ci fanno sentire piccoli piccoli, noi che assistiamo alla progressiva erosione della spesa pubblica in istruzione con aria rassegnata e a volte addirittura ossequiosa nei confronti dei responsabili politici di un simile scempio. Forse allora la battaglia di Malala e delle donne pachistane dovrebbe interpellare anche noi: darci coraggio, slancio, voglia di lottare. Ci stanno portando via i diritti, e noi li acclamiamo col nobel per la pace.
Tommaso Giani        

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