venerdì 22 giugno 2012

Le banche? Sono tutte al casinò


                                        

Uno dei fattori più preoccupanti della grande crisi in atto è lo strapotere della finanza speculativa sull'economia reale. A confermarlo è la ricerca di Mediobanca sull'uso dei derivati da parte delle 20 principali banche europee: un insieme di numeri che fa impressione, evidenziando come il sistema bancario nel suo complesso abbia ormai da anni abdicato alla funzione di ente creditore spostando buona parte dei suoi denari nel businness delle scommesse.


Perché i derivati speculativi, spiegati in parole povere, alla fine non sono altro che scommesse. Scommesse complicatissime e molto rischiose, che spesso combinano in un unico paniere una gamma svariata di rami d'affari. Le banche scommettono sui prezzi delle materie prime, sui cambi fra le valute, sull'aumento dei tassi di interesse del debito pubblico e su tanto altro ancora.
Più precisamente, nel 2011 le 20 top banche europee hanno scommesso complessivamente 1450 miliardi in più dell'anno precedente: un aumento percentuale del 33%, quando tutte le altre voci più importanti (dai prestiti fino agli investimenti azionari e in titoli di debito pubblico) sono in calo. Il fenomeno è addebitale, secondo il Sole 24 Ore, anche alle regole capestro imposte alle banche europee dalla normativa Basilea 3, che consente di conteggiare i soldi investiti in derivati all'interno del capitale di vigilanza, al contrario dei soldi spesi in debito pubblico che vanno a intaccare il minimo patrimoniale da tenere obbligatoriamente in cassa. E allora, se le regole non solo tollerano ma addirittura incentivano il gioco d'azzardo finanziario, ecco che ogni ragione diventa buona per trasferire sempre più in pianta stabile le banche dentro il grande casinò dei derivati.
Nella classifica delle banche più drogate di scommesse, in testa c'è a sorpresa la Deutsche Bank, con il 40% del suo attivo impegnato in derivati speculativi. Seguono a ruota le britanniche Rbs e Barclays (rispettivamente 36 e 34%), le svizzere Ubs e Credit Suisse ben oltre il 30%; poi il terzetto delle francesi SocGen, Credit Agricole e Bnp (tutte sopra il 20%) e infine le italiane Intesa San Paolo e Unicredit, che in derivati investono rispettivamente l'8 e il 13% dei loro attivi. Sono percentuali molto al di sopra di ogni soglia di ragionevolezza. Perché i derivati, come le scommesse sportive per noi poveri cristi, danno l'illusione della vincita facile ma allo stesso tempo (essendo fondati sull'incertezza) in un batter d'occhio possono precipitarti fuori dalla sala da gioco senza il becco di un quattrino. L'ultimo esempio a proposito ci è arrivato dall'America, dove il colosso bancario a stelle e strisce Jp Morgan ha recentemente ammesso un buco di 2 miliardi per colpa di derivati improvvisamente andati a male. La ricerca di Mediobanca stima che una perdita del 10% sui derivati da parte del sistema bancario europeo porterebbe a una voragine del 55% sul patrimonio di vigilanza complessivo delle banche stesse.
L'editoriale del Sole 24 Ore a commento di questi dati non a caso titola "Una spirale da fermare". L'articolo di Donato Masciandaro sottolinea l'aspetto perverso che la sbornia dei derivati sta esercitando sull'innalzamento degli spread: le grandi banche e gli intermdiari finanziari possono infatti giocare su due tavoli, da una parte vendendo titoli di stato dei paesi europei in difficoltà, e dall'altra sottoscrivendo scommesse sull'aumento del tasso di interesse dei relativi debiti sovrani. Lo stop a questo baccanale autodistruttivo non può che avvenire con l'introduzione di regole più stringenti, che voltino pagina dopo il trentennio di deregulation finanziaria inaugurato dal binomio Tatcher-Reagan e proseguito imperterrito attraverso l'Unione europea e la presidenza americana di Clinton (fu lui, democratico, a togliere l'ultimo baluardo a difesa della distinzione fra banche "che fanno prestiti" e banche che "vanno al casinò"). Purtroppo continuano a esserci troppe divisioni a livello continentale, per colpa in primo luogo della posizione oltranzista pro-derivati della Gran Bretagna. Ma questo immobilismo europeo non dovrebbe esonerare l'Italia dalle proprie responsabilità. L'articolo del Sole a tal proposito chiosa con un suggerimento concreto: una legge che conferisca a Bankitalia e Consob il potere di vietare alle banche di casa nostra l'accensione di derivati speculativi sui titoli di stato. Sarebbe un primo passo importantissimo, volontà politica permettendo.     
Tommaso Giani

Nessun commento:

Posta un commento

(si prega la sintesi)