martedì 19 giugno 2012

Dieci anni di euro: ha vinto solo la Germania


Un articolo di Affari e Finanza di ieri ha fatto i conti in tasca alla Germania utilizzando i dati ufficiali dell'istituto statistico tedesco. I numeri sono clamorosi: in dieci anni di euro, la differenza fra valore di beni e servizi esportati nell'Unione europea e valore di beni e servizi importati dagli stessi vicini continentali è positiva per 1300 miliardi. La potenza commerciale tedesca ha sbaragliato tutti i vicini più importanti: non solo l'Italia, ma anche Francia e Spagna.


Si parla di bilancia commerciale proprio perché l'immagine più appropriata per comprendere i saldi del commercio internazionale è quella dei due piatti in equilibrio. Se da una parte c'è un attivo dall'altra parte deve corrispondere un passivo di uguale entità. E allora andiamoci, sull'altro piatto, per capire quali paesi e quali deficit nazionali contribuiscano a creare i 1300 miliardi di surplus tedesco.
In prima fila fra gli sconfitti c'è la Francia, che nel saldo importazioni-esportazioni con la Germania ha perso 263 miliardi in dieci anni. Ma non sono da meno Spagna e Italia, rispettivamente con 178 e 158 miliardi di disavanzo commerciale nei confronti della locomitiva tedesca. E perfino la Grecia, con 45 miliardi freschi freschi, ha contribuito al drenaggio di ricchezza spaventoso verso Berlino.
La ragione che sta dietro un fenomeno così imponente è facile da capire. L'introduzione dell'euro è stata come il crollo di un muro di protezione, che divideva in qualche modo le altre economie da quella tedesca: dal 2002 in poi si è permesso al sistema economico tedesco di nuotare nello stesso acquario degli altri pesci europei, e il mangime che prima toccava a noi altri pesciolini grazie ai muri di protezione ora (o meglio da 10 anni a questa parte) se lo sta pappando tutto il siluro tedesco, che non a caso festeggia un tasso di disoccupazione ai minimi storici.
Più concretamente, il muro di protezione che in qualche modo tutelava il nostro sistema economico non all'altezza per competere con la Germania era il tasso di cambio lira-marco. Questo tasso di cambio, fortemente sbilanciato a favore del marco, rendeva per noi i beni e i servizi tedeschi molto costosi. L'introduzione dell'euro ha soppiantato questa barriera commerciale implicita: sull'onda della moneta comune anche i prezzi si sono più o meno standardizzati a livello europeo, e quindi a stravincere è stata la qualità delle auto, elettrodomestici, macchinari made in Germany, preferiti comprensibilmente da noi consumatori rispetto ai beni italiani che hanno perso il vantaggio della convenienza.
Questo meccanismo mette in evidenza quanto sia dannosa e ingiusta l'architettura dell'Unione europea (e dell'Eurozona nello specifico). Già. Perché in sé uno sbilanciamento commerciale all'interno di un'area economica comune non sarebbe drammatico. Non lo sarebbe se, come di solito succede, a un'area economica con moneta comune corrispondesse uno stato vero e proprio: quando questa corrispondenza esiste (e dovrebbe essere la norma) ci pensa la macchina statale a fare da camera di compensazione, tramite lo strumento fiscale che redistribuisce la ricchezza e garantisce la stessa qualità dei servizi pubblici a regioni ricche e a regioni povere. All'interno della stessa Germania accade proprio così: pensate agli squilibri economici e produttivi che continuano ad esistere fra i lander orientali e occidentali, a cui però non corrisponde affatto una discrepanza nella qualità della vita. Questo però dovrebbe avvenire in tutta l'Eurozona, con un sistema fiscale unificato e un welfare standardizzato in tutti i settori (dalle pensioni alla salute). Il nodo gordiano alla fine è sempre quello: o facciamo gli Stati Uniti d'Europa, oppure è meglio smetterla di fare i vassalli della Germania.
Tommaso Giani 

1 commento:

  1. credo proprio che tu abbia sintetizzato molto bene, nelle ultime righe, qual'è la situazione e cosa ci conviene fare se non si riesce a fare una VERA europa!

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(si prega la sintesi)