martedì 28 febbraio 2012

Vi presento Nelu


Il sud del mondo è anche a Torino. La scorsa settimana sono stato a visitare il campo rom di Lungo Stura Lazio: una baraccopoli di fango e lamiere nella periferia nord del capoluogo piemontese. Non credevo che in Italia esistesse un insediamento abitativo così inospitale, così al limite. Ho potuto toccare con mano questa profonda ingiustizia grazie a Nelu, un mediatore culturale rom che col suo lavoro cerca di rendere la vita meno agra ai circa 600 abitanti della favela.

Nelu mi aspetta sul ciglio dello stradone a quattro corsie che fa da anticamera all’accampamento. Sul lato opposto della circonvallazione ci sono il quartier generale dell’Iveco e un grossista di generi alimentari. Intravedo sciami di colletti bianchi in pausa sigaretta, mentre al di qua del cancello le macchine corrono veloci, e in prossimità del campo non ci sono né semafori, né marciapiedi né attraversamenti pedonali.
La responsabile della ong me l’aveva descritto bene: “Vedrai, è un omaccione coi baffi e un cappello da cow-boy”. In effetti Nelu ha davvero l’aria di un personaggio da film western, riconoscibile anche a decine di metri di distanza. La sua stretta di mano è energica e affabile. Il suo sorriso, agrodolce ma confidenziale, metterebbe a suo agio pure un inguaribile leghista. Le sue scarpe sono piene di fango e le sue braccia sono forti, braccia di chi ha vent’anni di miniera da raccontare. Prima il carbone in Romania, poi l’amore in Italia. Nel 2000 Nelu ha sposato una donna piemontese, con cui vive tuttora in un paesino in provincia di Cuneo. La freccia di Cupido gli è valsa un corso accelerato di italianità, ma non gli ha fatto perdere il senso profondo del suo essere rom. Così Nelu ha fatto della doppia appartenenza culturale il pezzo forte del suo curriculum, e proprio per questo talento così raro la onlus torinese Aizo (da sempre presente nelle attività di sostegno al popolo rom nella città della Mole) lo ha scelto nel ruolo di facilitatore nelle relazioni fra gli abitanti del principale campo rom cittadino e le diverse strutture della società italiana: dalla scuola al pronto soccorso, dagli uffici comunali al mondo dell’associazionismo.
Ormai sono più di 5 anni che Nelu si sporca le scarpe nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio. Un centinaio di casupole di lamiera incassate fra la circonvallazione e il greto del fiume Stura. Un insediamento abusivo ma in qualche modo tollerato sia dalla precedente giunta Chiamparino sia dall’attuale sindaco Fassino, che mentre non riesce a proporre ai rom delle soluzioni abitative più salubri continua a tergiversare e a rimandare, lasciando i diretti interessati in un limbo di incertezza e di indegnità. A Lungo Stura Lazio mancano infatti i servizi più basilari: niente cassonetti né fognature, niente acqua potabile, niente elettricità e niente riscaldamento. La coltre dell’ultima nevicata si è trasformata in una palude di fanghiglia inestricabile. Le baracche vengono riscaldate con le stufe a gas, mentre per l’illuminazione si utilizzano i generatori a gasolio. Il pericolo del corto circuito e delle esplosioni è sempre in agguato. L’acqua si raccoglie con le taniche da una fontanella a un chilometro di distanza: ci si lava poco e male, si sopravvive alla giornata in condizioni estreme. Troppo freddo d’inverno, troppo caldo d’estate. Alle estremità del campo ci sono i cumuli di rifiuti da bruciare insieme ai depositi di ferri vecchi da rivendere per guadagnarsi il pane, insieme all’elemosina e ai piccoli furti. Quando piove tanto e il fiume si ingrossa c’è da scappare a gambe levate, perché in caso di esondazione il campo rom sarebbe il primo insediamento a finire sott’acqua (è successo lo scorso autunno, per fortuna senza vittime). Le contraddizioni sono stridenti, proprio come il vero sud del mondo africano, con le antenne paraboliche sul tettuccio delle baracche, e una vecchia ma ancora piacente Bmw che si aggira clamorosamente fra le pozzanghere.
Dentro questo girone dantesco in salsa metropolitana Nelu conosce tutti e chiama tutti per nome. Basta una passeggiata lungo il sentiero principale del campo per accorgersi di quanto le persone si fidino di lui. Non capisco cosa si dicono, ma intuisco che parlano di cose serie. Poi Nelu mi traduce. La gente vuole sapere com’è andato l’incontro con i consiglieri comunali, come fare per iscrivere il figlio alle elementari, come ottenere nuove medicine. E poi ci sono i bambini, che sono tanti, sporchi ma molto festosi. I più piccoli parlano l’italiano molto meglio dei loro genitori: mi chiedono come mi chiamo, si presentano, e nel frattempo abbracciano il maestro Nelu. Già, perché è stato proprio lui a insegnare a leggere e scrivere nella nostra lingua alla maggior parte dei bambini del campo. Per far tracimare il mio stupore Nelu si concede una sosta inattesa in una delle tante baracchine del villaggio. Apre un lucchetto e mi invita ad entrare: “Ecco la mia scuola materna”. Mi racconta di aver pensato lui a tutto: le pareti, il parquet, i tappeti, i tavoli, la piccola tv, i giochi in legno, i cartelloni con le lettere dell’alfabeto, i libri. Sulla parete di ingresso troneggia una scritta a mano in romanes, che significa “una cosa ben fatta”. Tutte le mattine il maestro fa lezione, si appassiona, si commuove e ce la mette tutta, per preparare i suoi piccoli allievi al futuro inserimento nelle elementari. “Il pomeriggio torno a casa, prendo il tram per Porta Nuova e poi il treno per Bra. Ma non è facile staccare. Mi restano negli occhi le sofferenze di questa gente, e il sorriso dei bambini. Sono loro che mi incoraggiano ad andare avanti. Loro hanno ancora la possibilità di un futuro migliore. I loro genitori non più”. Nelu mi racconta anche delle difficoltà nel coinvolgere dei volontari come suoi complici nella scommessa dell’asilo e della scolarizzazione. Quella del campo rom è una frontiera difficile da oltrepassare. E’ dura, anche per un volontario animato dalle migliori intenzioni, adattarsi a scendere fino all’ultimo gradino della scala sociale della sua città. E’ dura andare a sbattere la testa contro certa ignoranza, contro certa miseria e contro certa ingiustizia. “C’è la crisi, abbiamo già i nostri problemi”. Eppure tutto questo non basta per sentirsi giustificati. Se la fratellanza è un valore che ci sta ancora a cuore, se davvero crediamo che “nessuno si libera da solo, nessuno libera il mondo ma ci si libera tutti insieme”, e se le persone come Nelu sono ancora in grado di toccarci nel profondo; allora forse siamo sempre in tempo per trovare il coraggio di attraversare la strada.          
Tommaso Giani
         

1 commento:

  1. ciao grazie per il tuo post

    noi abbiamo creato un osservatorio su quell'area.
    e abbiamo realizzato un film e un libro e una serie di iniziative..

    www.fmpq.it

    RispondiElimina

(si prega la sintesi)