venerdì 10 febbraio 2012

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Il titolo di questo post non è una formula matematica ma l'abbreviazione di un'utopia. Significa: solidali siamo più forti che divisi. L'ho trovato inciampando per caso sulle pagine di un blog americano, e mi è piaciuto molto. Trovo questo simbolo molto attuale, nella sua capacità di riassumere la grande sfida che abbiamo di fronte noi esseri umani, soprattutto noi occidentali. La parte destra della disequazione raffigura infatti il nostro capitalismo-giungla sempre più carico di conflitti, ingiustizie e squilibri; la parte sinistra invece allude a un nuovo paradigma economico, ancora da escogitare, che abbia come pilastro un sentimento di cittadinanza universale.


 Viviamo in un mondo dove il conflitto è sempre stato giudicato un valore: la chiamano competitività, o concorrenza; il concetto darwiniano applicato all'economia; "se il più forte prolifera, contribuisce all'evoluzione dell'intera specie". Ci hanno sempre raccontato che la mano invisibile del mercato alla fine fa gocciolare un po' di benessere sulla bocca di tutti. Invece basta aprire gli occhi e fare mente locale per rendersi conto che questo sistema conflittuale sta producendo solo disuguaglianza nelle ricchezze e conflitti sociali a raffica. La ricerca del prezzo più basso ci spinge a un egoismo orrendo, ci porta a premiare col nostro potere d'acquisto le imprese che abbassano il prezzo della manodopera e il livello di salvaguardia ambientale al di sotto di ogni decenza. La competizione che le imprese sono costrette a farsi fra di loro spinge a un dispendio di energie sconsiderato nelle attività pubblicitarie, che di per sé non portano niente all'utilità comune. La competizione che gli stati sono costretti a ingaggiare fra di loro alla ricerca di un posto più soleggiato sullo scacchiere globale porta a situazioni repellenti, come l'attuale crisi del debito sovrano, con la Grecia e i greci lasciati scivolare nella miseria al fine del proseguimento dell'operazione "recupero crediti" orchestrata dal governo tedesco. La competizione per i posti di lavoro sospinta negli ultimi decenni su un proscenio globale spinge gli operai vittime delle delocalizzazioni a rinfocolare i nazionalismi più biechi: italiani contro serbi, coreani contro filippini. La lotta per l'accesso alle materie prime e alle risorse della terra porta all'inevitabilità dello scempio bellico come barbaro strumento di risoluzione delle contese. E così ecco il via libera a nuove distruzioni, nuovo odio, nuovi sprechi di vite umane e di capacità lavorative.
L'alternativa a questo schema è la parte sinistra del titolo: le due parentesi che si congiungono anziché darsi le spalle. Questo significa un mondo dove si possa finalmente smettere di pensare come "toscani", "italiani" o "tedeschi", bensì in termini di "noi abitanti della Terra". Questo salto culturale oggi è molto più facile che in passato. Oggi grazie a internet viviamo in un mondo che non era mai stato così interconnesso. Avremmo bisogno di un'unica regia planetaria per provvedere a un inventario globale di tutte le risorse vitali disponibili (acqua, materie prime, terreni coltivabili...) e poi muoverci per un'equa suddivisione, non soggetta come adesso al ricatto dei poteri economici e militari contrapposti. In un mondo più cooperativo si eviterebbero gli spostamenti di merci illogici che caratterizzano la nostra economia globale (grano ucraino in Puglia, grano italiano abbandonato). In un mondo più solidale dovrebbe tornare al centro del sistema il lavoro, e non il denaro fine a se stesso (quello delle scommesse finanziarie). In un mondo più amalgamato lo stesso uso del denaro dovrebbe gradualmente ridimensionarsi, perché se è vero che da una parte la circolazione della moneta assicura maggiore efficienza negli scambi, è altrettanto vero che lo scambio di denaro è asettico e incapace di creare relazioni positive, a differenza degli schemi di "banca del tempo" che invece assicurano soddisfazione di bisogni insieme al crescere di nuove amicizie e reti solidali.
Credo che per incamminarci verso la parte sinistra della disequazione sia importante ripartire da un concetto di Europa unita. L'eventuale fine dell'euro mi turba proprio perché costituirebbe un ulteriore passo verso la frammentazione, verso gli egoismi reciproci, verso le parentesi che si danno le spalle. Sono spaventato dai risultati dei sondaggi condotti in Germania che danno la maggioranza del popolo tedesco favorevole alla politica del rigore (leggi macelleria sociale) portata avanti dal governo Merkel nei confronti della Grecia. Ma allo stesso tempo voglio sperare che esista all'interno dell'opinione pubblica tedesca ed europea una fronda più lungimirante, più civile, più umana. Tocca a noi, nel nostro piccolo, lavorare per ingrossarne le fila.
Tommaso Giani      

1 commento:

  1. M'interesserebbe tanto un articolo preciso sulla Grecia: se ci sono, c'erano sprechi, chi ha fatto quei crediti,...? Sí, anche da noi c'é ,,il grano ucraino", mangiamo pomodoro spagnolo, io no, paprika cinese, perché multinazionali nella ,,ricerca del prezzo più basso" creano queste situazioni. Forse gente molto piú informata potrebbe reagire bene. E cosí la manodopera locale sarebbe apprezzato.

    Bello il simbolo!

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