domenica 4 marzo 2012

Il popolo irlandese sfida la Merkel


I killer dello stato sociale ccupano i salotti buoni delle banche, della politica e delle grandi multinazionali. Sono forti, arroganti, e stanno facendo di tutto per smantellare l'idea di Europa sociale e statalista fiorita nei tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale. L'ultima loro vittoria si chiama Fiscal Compact: un dispositivo, suggerito dal governatore della Bce Mario Draghi e fortemente voluto dal governo tedesco, che mette un'ulteriore camicia di forza alla capacità di spesa pubblica dei governi Ue.


Hanno usato lo strumento del trattato internazionale per restringere l'iter di approvazione ai soli capi di stato e privare il parlamento europeo di qualsiasi voce in capitolo. Solo due capi di stato su 27, quelli di Gran Bretagna e Repubblica Ceca, hanno avuto il coraggio di sfilarsi. Gli altri, soprattutto quelli dei paesi più colpiti dalla crisi del debito pubblico, non hanno avuto possibilità di manovra. Troppo ostile il ricatto brandito da Angela Merkel: chi non approva il trattato si scorda i prestiti di Bruxelles. E così, come pecore imbelli bastonate dal pastore tedesco, ci siamo tutti accodati e impegnati.
Prendendo le mosse dal più famoso trattato di Maastricht, il Fiscal Compact dichiara i deficit e i debiti pubblici nazionali il più grande nemico da combattere, inasprendo ulteriormente i già severi dettami del patto di stabilità del '92. Così, mentre fino a ieri il tetto massimo di deficit consentito agli stati era il 3% del Pil, ora la soglia è stata abbassata allo 0,5: in pratica ci chiedono il pareggio di bilancio, che non a caso il solerte governo Monti sta provvedendo in fretta e furia a iscrivere nella nostra costituzione. In più, il Fiscal Compact ci chiede di procedere a uno sbancamento (al ritmo forsennato del 5% l'anno) della montagna del debito pubblico da cui i vari paesi sono oberati. Più precisamente è il rapporto debito/pil che va migliorato, quindi in teoria si potrebbe continuare moderatamente a fare deficit, a patto di contare su una crescita robusta del prodotto interno lordo in grado di alzare il denominatore e far diminuire il rapporto. Ma in pratica questa è una utopia. Con la recessione che imperversa e la sovranità monetaria in mano ai falchi di Francoforte, l'unico modo di obbedire che hanno gli stati firmatari è tagliare. Tagliare le pensioni, i salari e la pianta organica del pubblico impiego, tagliare i trasferimenti agli enti locali, tagliare i servizi e gli investimenti (eccetto le grandi opere naturalmente, che fanno modernità e sviluppo, mica come i trasporti luridi dei pendolari...): insomma tagliare lo stato, inteso come garante della giustizia sociale e dell'uguaglianza sostanziale fra i cittadini. La scuola neo-liberista al potere nell'Europa di oggi vede lo stato come un arbitro della concorrenza, un risolutore delle controversie e poco più. Proprio nel momento in cui il modello mercatista scricchiola pesantemente e la spesa pubblica servirebbe come il pane per riattivare sviluppo e occupazione, questi ti dicono che la spesa pubblica è il problema numero uno.
Eppure un raggio di speranza si intravede in lontananza. Anzi due raggi. Il primo è legato alle elezioni presidenziali in Francia in programma fra un mese: il candidato socialista Francois Hollande ha già dichiarato che in caso di vittoria si impegnerà per la revisione del Fiscal Compact e della sua filosofia portante, l'austerity. Il secondo appiglio di ottimismo arriva invece dall'Irlanda, dove l'attorney general (massimo consulente del governo in materia giuridica, dispensatore di giudizi vincolanti) ha contraddetto il primo ministro laburista Enda Kenny, indicendo un referendum nazionale riguardo la ratifica dell'Irlanda al nuovo trattato. Così il disco verde dell'Irlanda torna in sospeso, in attesa del verdetto popolare previsto entro l'anno. Almeno in uno dei paesi firmatari la democrazia si è presa quindi una piccola rivincita. Va precisato che l'entrata in vigore del trattato nel resto di Eurolandia resta fuori discussione, con o senza l'Irlanda. E' anche vero però che il successo del fronte referendario potrebbe innescare un effetto a catena in altre capitali d'Europa. Si è detto della Francia, ma il discorso potrebbe valere anche per l'Italia, nonostante il desolante appiattimento di Pd e Pdl su posizioni anti-sociali. Dopo la vittoria sui servizi idrici, proprio l'opposizione al Fiscal Compact dovrebbe diventare oggetto della nostra prossima battaglia di democrazia diretta.
Tommaso Giani    

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