giovedì 1 dicembre 2011

Tempo di recupero (crediti)

Ieri sera su Raidue è andato in onda un docu-film sul credito al consumo. La telecamera del regista Enrico Verra ritrae la vita quotidiana di un 40enne recuperatore crediti toscano, Paolo Degan, impiegato per l'agenzia Luzzi di Livorno. In parallelo la pellicola assembla alcune storie provenienti dall'altra parte della barricata, quella degli indebitati. Lascia un po' a desiderare la presunta attendibilità delle testimonianze dei morosi, che meravigliano per la loro disponibilità a mettere a nudo davanti alla telecamera i loro "tete a tete" con l'esattore: l'impressione è che nei loro interventi ci sia molto di cinematografico e poco di reale. Molto più interessante è invece la prospettiva dell'agente di recupero, il vero protagonista del video, che ci descrive il mestiere di un cacciatore di crediti guidandoci attraverso i luoghi del suo vissuto lavorativo.

Anzitutto l'automobile, in cui Paolo il recuperatore dice di trascorrere buona parte delle sue giornate: macina dai 50mila ai 70mila chilometri all'anno, battendo diverse regioni del centro-nord alla ricerca dei numeri civici di anonimi caseggiati di periferia, dietro cui si nascondono le prede insolventi. "Le trasferte vanno organizzate con cura - spiega - in modo da toccare lungo il tragitto il maggor numero di indirizzi possibili. La macchina è il mio ufficio. Qui metto a punto le strategie da adottare, le parole da usare, la prossima telefonata da fare". Fra una chiamata e l'altra Paolo racconta il suo passato da perito meccanico della Piaggio, un lavoro scelto più per necessità che per vocazione; fino alla svolta professionale nata da un annuncio pubblicitario di un'agenzia di recupero crediti in cerca di personale. Selezione superata, e addio tuta blu. In giacca e cravatta Paolo si sente molto più a suo agio. L'eleganza nel suo mestiere è importante. Il regista non a caso lo sorprende più volte mentre si lucida le scarpe e si cambia l'abito in qualche remoto parcheggio sotterraneo, con l'ufficio viaggiante che funge anche da piccolo guardaroba.
Sono 20 milioni le pratiche di recupero crediti aperte ogni anno in Italia, dice il documentario. La febbre del prestito facile, diffusasi in Italia soprattutto nell'ultimo decennio, ha travolto tanta gente comune: pensionati, impiegati, immigrati, donne sole. Da una parte il bisogno indotto di uno stile di vita consumistico al di sopra delle proprie possibilità. Dall'altra la protervia dei colossi del credito al consumo (Agos è il nome che più ricorre nel corso del filmato) maestri nel tempestare l'italiano medio di offerte ammiccanti tramite ragazzi immagine, inserzioni, spot e volantini. In ballo per chiunque ci sono 10mila euro da caricare immediatamente sulla carta di credito, senza trafila, senza domande. "Io ho fatto tutto con internet", racconta candidamente una ragazza ora finita nella morsa del debito.                 
Il sogno del consumatore onnipotente però dura poco. I tassi di interesse globali (taeg) del credito al consumo arrivano anche oltre il 15%: il che vuol dire, nel giro di 5 anni, restituire alla finanziaria una somma più che raddoppiata. Il risveglio insomma non è mai dei migliori. E a quelli come Paolo, per l'appunto, tocca il compito ingrato di far suonare la sveglia. "Il nostro è un lavoro delicato e pieno di sfaccettature. Per arrivare all'obiettivo devi essere non solo esattore, ma anche psicologo, e pure investigatore". Già, perché spesso il recupero si trasforma in un gioco di guardie e ladri, con le residenze che cambiano e i campanelli che suonano a vuoto. "In quei casi bisogna affidarsi ai vicini, che per fortuna in Italia non sanno mai farsi i fatti propri. Sono loro spesso a riportarti sulla strada giusta". Quando messo finalmente con le spalle al muro, il debitore è portato a giocare la carta della pietà: un tasto che però con i recuperatori professionisti difficilmente funziona. Per Paolo e i suoi colleghi l'incentivo a far pagare è fortissimo: oltre allo stipendio fisso infatti ci sono commissioni a due cifre percentuali per ogni somma riportata alla base. "E' chiaro che si tratta di persone in difficoltà, ma io non sono un missionario, devo fare il mio lavoro". E a quanto pare il suo lavoro riesce a farlo pure bene, visto che il documentario si chiude con una convention dell'agenzia livornese in cui Paolo viene premiato dal titolare come "il nostro rompiscatole più bravo". Il contrasto volutamente stomachevole emerge con la scena immediatamente successiva, che chiude il film: una delle coppie indebitate e intervistate in precedenza si ritrova a cenare in cucina a lume di candela, ma senza romanticismo; colpa della luce elettrica che l'Enel è appena venuta a tagliare.
Tommaso Giani

Per guardare il documentario "Vite da recupero" clicca qui

    

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