giovedì 29 dicembre 2011

Ero in carcere, e mi avete ucciso


Il giorno che Sergej Karpilenko fu arrestato a Kiev per un presunto furto di telefono cellulare, i poliziotti portarono dietro le sbarre un ragazzo ucraino 25enne: sano, giovane, con un lavoro e con un futuro davanti. Tempo due anni, e alla fine del 2011 Sergej esce dal carcere dentro una bara: ancora aspettava di venire processato; nel frattempo l'hanno ammazzato l'Aids, la meningite e la tubercolosi (almeno così recita il certificato di morte). Tragica fatalità? Nient'affatto. Amnesty International dice che nelle carceri dell'Ucraina sono migliaia i detenuti in attesa di giudizio abbandonati a condizioni igienico-sanitarie scandalose: sicuri di ammalarsi, e sicuri anche di non essere curati.


L'Ucraina ha oltre 10 milioni di abitanti in meno rispetto all'Italia, eppure ha una popolazione carceraria doppia della nostra: 150mila detenuti, di cui 40mila in attesa di giudizio. Il sovraffolamento da quelle parti è a livelli talmente assurdi da non poter garantire nemmeno un letto a ciascun recluso: le testimonianze che filtrano attraverso avvocati e associazioni per i diritti umani parlano addirittura di turni organizzati fra i detenuti della stessa cella, per potersi coricare tutti, uno dopo l'altro. I dati ufficiali, probabilmente sottostimati, contano fra i carcerati ucraini 6000 malati di Aids e 5.500 affetti da una forma attiva di tubercolosi. E i numeri sono in costante aumento.
Ma a rendere la situazione ancora più odiosa c'è un particolare sbalorditivo: i detenuti che stanno peggio non sono quelli già condannati, ma coloro che ancora aspettano il processo. Le strutture sanitarie interne alle carceri infatti sono tenute a ricoverare solo i condannati, mentre per quelli in custodia cautelare (un periodo che in Ucraina può anche andare oltre i 12 mesi) l'unica possibilità è il trasferimento in un ospedale civile. Per essere tradotti serve una richiesta al giudice che quasi mai viene istruita ed espletata con esito positivo; e poi c'è da fare i conti con la vergognosa ma comprensibile ritrosia dei direttori delle carceri, che, a corto di personale e di benzina, fanno di tutto per risparmiare limitando al massimo i viaggi e i piantonamenti in ospedale.
L'Ucraina è un angolo di Europa dove i "casi Cucchi" nemmeno riescono a diventare casi. Niente riflettori, niente sdegno, niente giustizia, niente di niente. Intentare una causa alle autorità del carcere per abuso d'ufficio in Ucraina è quasi controproducente. "Non spero di ottenere giustizia in tribunale", mormora sconsolata la mamma di Sergej, stringendo al petto la foto del figlio: "Spero almeno che la morte di mio figlio non passi inosservata, e alla fine sia di aiuto per salvare altre vite". Nel frattempo continua la carcerazione "politica" anche per la ex premier Julia Timoshenko, rinchiusa nell'indifferenza generale di una nazione che rischia di confondere la disaffezione verso la politica con il disprezzo dei diritti umani fondamentali.        
Qui in Italia la situazione fortunatamente non è paragonabile, ma il sistema carcerario è ugualmente in crisi. Sovraffollamento bestiale, un suicidio ogni tre giorni, 22 ore su 24 chiusi in cella, tempo utile solo per covare rabbia e ingoiare psicofarmaci. A parte poche felici eccezioni (carcere di Bollate su tutte), è questa la inquietante normalità dei penitenziari italiani. Continuiamo nella stragrande maggioranza dei casi a buttare soldi e calpestare la costituzione, che vorrebbe la pena finalizzata alla rieducazione e non al rincoglionimento del detenuto. Il nuovo ministro della giustizia Severino ha farfugliato timidi propositi umanitari, nel senso di tramutare con più sistemacità il carcere in arresti domiciliari: il ministro rischia però di dimenticare che le carceri sono strapiene di poveri (tossicodipendenti, stranieri, senza fissa dimora) molti dei quali una casa pronta dove ripiegare nemmeno ce l'hanno. Con un pizzico di coraggio in più si potrebbe cambiare radicalmente strategia, puntando davvero sull'affidamento alle comunità di recupero come risposta principale ai piccoli reati da tossicodipendenza: un giorno di comunità per un ragazzo costa all'Asl 50 euro; un giorno di carcere per lo stesso ragazzo costa allo stato quasi il triplo. Con quali risultati?
Tommaso Giani

Per saperne di più, ecco il link del giornale ucraino Kyiv Post (in lingua inglese) da cui ho tratto la notizia di Sergej Karpilenko.   

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