lunedì 15 agosto 2011

Un'altra Kharkiv

I treni dell'Ucraina assomigliano a signore attempate che con gli anni non hanno perso l'eleganza, lo smalto e la voglia di vivere. I treni dell'Ucraina costano poco perfino per le tasche degli ucraini. Viaggiano sempre pieni, preferibilmente di notte. Gia', perche' anche in terza classe sul treno a lunga percorrenza Kiev-Kharkiv si riesce a dormire.
Non ci sono sedili, ma solo cuccette, con le lenzuola e le federe pulite. Una ferroviera accigliata fa continuamente su e giu' per il corridoio, garantendo l'ordine in carrozza senza lasciare scampo a eventuali malintenzionati. Kharkiv, a giorno fatto, e' una delle prime stazioni di discesa. La solita irreprensibile ferroviera si occupa anche di dare la sveglia ai passeggeri a fine corsa. Cosi' scendo con calma e inizio a ritrovare i miei punti di riferimento: il piazzale, i cessi, la fontana. Qui gli occidentali sono veramente merce rara. La curiosita' e' tanta, anche per i poliziotti, che per il terzo anno consecutivo non si peritano a omaggiarmi con la tradizionale perquisizione di benvenuto. Fuori dalla stazione e' tutto uguale, ma anche tutto diverso. A differenza di Kiev qui il caldo e' a livelli italianissimi. E a differenza degli altri due viaggi in piena stagione calcistica, stavolta Kharkiv mi si presenta in piena versione estiva. Al posto della neve i prati fioriti, al posto dei cappotti le minigonne, al posto della vodka il gelato. Il mio fido metallaro Misha, seguendo alla lettera le mie direttive, mi trova gia' in mattinata un posto nell'hotel piu' scalcinato della citta': uno dei tanti ruderi della vecchia civilta' sovietica, coi letti che cigolano, i tubi scoperti e i bagni fuori della camera. Poi torniamo in centro dove avviene il passaggio di testimone: o meglio, di accompagnatore. Misha mi da' appuntamento al giorno dopo, Nelly mi aspetta puntuale all'uscita della metro di piazza Sovietcka.  Il livello della conversazione puo' aumentare, perche' ora ho a che fare con una studentessa super di lingue straniere, e il mio inglese deve mettercela tutta per tenere testa al suo. Nelly e io ci eravamo conosciuti l'anno prima per puro caso, quando, chiedendo indicazioni nel caleidoscopio di via Gagarina, mi ero imbattuto in questo scricciolo incontenibile, con la bandiera della Gran Bretagna sulla borsa e la parlantina civettuola da inglese vera sulle labbra. Poi grazie alle mail ci siamo tenuti in contatto, fino alla reunion e alla lunga passeggiata di oggi: piena di sudore, di chiacchiere e di scorci inaspettati. Gli Europei di calcio del prossimo anno stanno portando in citta' tanti lavori di ammodernamento e riqualificazione. Sara' allora per il restyling, oppure per la bella stagione: fatto sta che la Kharkiv di oggi fa proprio una bella figura. Anche qui, come a Kiev, c'e' un fiume: ma molto piu' piccolo e assolutamente improponibile per attivita' notatorie. In compenso il luogo non ha nulla da invidiare a qualsiasi altro in termini di romanticismo. Ci sono le canoe a noleggio (gettonatissime fra le coppiette), c'e' una passeggiata pedonale piena di verde e di aiuole curate, c'e' una passerella nuova di zecca e tappezzata di lucchetti chiusi in stile Moccia; ci sono le famiglie che fanno i pic-nic, e non c'e' neanche l'ombra di una cartaccia o di una scritta fuori posto. Davvero, sembra di stare in Alto Adige piu' che in Ucraina. E anche a cena e dopo cena la vita mondana e' sorprendente. I giardini della infinita piazza Lenin sono pieni di chalet, chioschi e giochi per bambini invasi dallo struscio. Mi lascio catturare da un gruppetto di universitari intorno alla chitarra, in riva al fiume, che improvvisa un ritornello degli Oasis. Quanto gli manca il mare, a 'sti ragazzi...
La serata e' intensa anche perche' il tempo a disposizione non e' molto. A mezzanotte suona il gong, la metropolitana chiude i battenti, e a Kharkiv tre quarti degli abitanti si muovono solo coi mezzi pubblici. Anche Nelly deve riguadagnare la strada verso casa sua, fra i casermoni labirintici di via Gagarina. Ormai da quante cose mi ha raccontato le sara' venuta la gola secca. Fra mattina e pomeriggio mi sono sorbito per filo e per segno la cronaca del concerto a Kharkiv di Toto Cotugno; la malinconia per tutte le parti d'Europa in cui sogna di andare a studiare aspettando una vittoria alla lotteria dei permessi di soggiorno; la speranza per gli Europei di calcio che, se portassero a Kharkiv la Germania o l'Inghilterra, gli frutterebbero un sacco di lavoro come interprete e guida. Io le lascio in regalo un'edizione in inglese de La solitudine dei numeri primi e un dvd di Niccolo' Fabi. Sembra un pacco dono per detenuti. Le sbarre non si vedono ma ci sono: dividono noi allegri giramondo dell'area Schengen dagli europei di serie B che oltre l'Ucraina non possono avventurarsi. Salutare un amico a Kharkiv non e' un dirsi ciao alla pari: il ruolo di chi visita e quello di chi accoglie non si possono invertire. Vorresti dire "ti aspetto a Genova", ma non puoi. Ogni volta che torno qui, il momento di andare via e' sempre piu' straziante. Ingiustizia allo stato puro.

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