domenica 14 agosto 2011

Siamo tutti metallari

La mia passione smodata per l'Ucraina ha a che fare con le bizzarrie del sorteggio di Europa League, che nel giro di tre anni (pescando alla cieca fra decine di squadre del vecchio continente) ha abbinato per due volte la Sampdoria ai gialloblu del Metalist Kharkiv. Kharkiv e' una citta' di 500mila abitanti al confine con la Russia, a 12 ore di treno da Kiev. Il 99% degli italiani ne ignorera' perfino l'esistenza. Io invece ci sono stato gia' due volte: la prima volta come una sfida, per correre dietro la mia squadra del cuore fino all'angolo piu' remoto dell'Europa dell'est; la seconda volta come una rimpatriata, per ritrovare le facce, i paesaggi e gli odori di cui mi ero clamorosamente innamorato.
Oggi il mio personalissimo gemellaggio con i tifosi del Metalist vive quindi la sua terza puntata. Ci incontriamo a Kiev, dove la compagine "metallara" gioca in trasferta una delle partite d'avvio della serie A ucraina. Ci incontriamo grazie alla costanza di Misha, un informatico di 23 anni che in questi mesi non ha mai smesso di tenermi al corrente sulle vicende della sua squadra, alimentando in me la scimmia di tornare da loro prima o poi. E allora rieccoci insieme, dentro il bailamme sensazionale della stazione piu' maestosa e piu' affollata che conosca. Soffitti altissimi, lampadari galattici, sale d'attesa a perdita d'occhio: moderna e antica, da un lato sovietica, dall'altro futurista; un miracolo d'architettura, vedere per credere.
Misha e i suoi due amici hanno le idee chiare su tempi e programmi. E' pomeriggio, mancano ancora 3 ore al fischio d'inizio, ma dalla loro andatura forsennata sembra che le cose da fare prima dello stadio non manchino. Ci imbuchiamo nel tunnel della metropolitana, che fra le poche eredita' positive lasciate dall'economia di regime occupa sicuramente un posto d'onore. Scendendo sulle scale mobili a precipizio e incuneandosi sotto archi trionfali, muri piastrellati e lucernari d'antan, sembra proprio di tornare indietro agli anni 70. E' tutto vecchio, dai cartelli indicatori ai vagoni del trenino fino ai sedili in cuoio: ma allo stesso tempo tutto pulito e perfettamente funzionante. Ci avventuriamo sulla linea  in direzione nord, per poi scendere alla fermata Obolon: il quartiere che da' il nome non solo all'avversaria di stasera del Metalist, ma anche alla birra piu' amata dagli ucraini. E non a caso, una volta sbucati nel solito anfiteatro di periferia (dinosauri di 30 piani made in Urss, viali a 4 corsie sparati verso ogni direzione), la nostra prima tappa e' proprio lo stabilimento della birra nazionale. Ci uniamo a una processione di camionisti coi baffoni, in coda davanti al punto vendita esterno alla fabbrica. I ragazzi fanno scorta di bottiglie, brindano alla prossima vittoria e scattano foto ricordo: sembra un rito da ripetere sempre uguale a ogni trasferta a Obolon, e in effetti la compagnia mi conferma che e' cosi'. La trasferta di oggi e' molto apprezzata da Misha e compagni anche perche', come se non bastasse, vicino allo stadio e' stata avvistata pure una spiaggia. Non siamo al mare, ma al fiume: un serpente infinito chiamato Dnepr, che per ampiezza di bacino supera abbondantemente il nostro Arno. L'acqua a ben vedere ha un colore poco rassicurante, e sul Kyiv Post avevo letto che da quest'anno la balneazione del fiume nella capitale era stata interdetta. Ma i vacanzieri proletari di Obolon non stanno troppo a sottilizzare: si tuffano tutti o quasi, famiglie al completo, facendosi anche delle gran belle nuotate. L'arenile poi e' pulito e ben tenuto, con quei grattacieli sovietici subito dietro la spiaggia che fanno molto "Sognando la California (lato B)". Insomma, si sta bene. E difatti i miei amici metallari non si fanno pregare, regalandosi un godurioso bagno in mutande.
Il tempo di ricomporsi e rifocillarsi con gli ultimi panini di mamuska rimasti nello zainetto, ed ecco che scocca l'ora dello stadio. Il campo dell'Obolon si erge nel bel mezzo della zona residenziale, con la capienza di una nostra tonnara di C2: c'e' una bella tribuna, una mini gradinata sull'altro lato lungo del rettangolo, e neanche l'ombra di una curva. Il prato in compenso e' bellissimo, e molto vicino agli spalti. Davanti al cancello del settore ospiti conto anche due centinaia di tifosi metallari materializzatisi in ultima battuta sul piazzaletto. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per divertirsi. 
Misha mi porge di soppiatto un biglietto d'ingresso, e io faccio per chiedergli quanto gli devo. Ma subito dopo mi accorgo che i tagliandi arrivano non dalla biglietteria bensi' dalle mani insospettabili di un poliziotto: i foglietti volano di mano in mano come fossero volantini. Sembra un sogno. Ma com'e' questa manna del settore ospiti gratis? "Sono accordi fra le societa', a noi nelle trasferte lunghe i biglietti ce li regalano quasi sempre", e' la delucidazione di Misha, che accresce sempre piu' in me un senso estatico di capogiro. Noi in Italia ci stiamo disabituando (tra tessere, blindature e prefiltraggi), mentre qui la serie A ha ancora il sapore di una festa di popolo. Una festa che dura 90 minuti, coi ragazzi e le ragazze del Metalist che mi coinvolgono nei cori: col tamburo, con le sciarpe, col megafono, con tanta voce e niente alcol. Il calore del tifo e' cosi' alto che l'attenzione per la partita in se' diventa relativa. In alcuni frangenti mi scopro l'unico spettatore attento dello spicchio gialloblu, mentre i miei vicini di gradinata si concentrano solo e soltanto a cantare. Per la cronaca, le emozioni e i gol non mancheranno, anche per "merito" di un arbitraggio molto approssimativo e di un rigore per parte inventato di sana pianta. Il Metalist si mostra debole in difesa e forte in attacco, dove il brasiliano Tyson sfoggia numeri da campione vero. Finisce 3-3, e non e' un bel risultato per il Metalist, che come ogni anno affronta il campionato con l'obiettivo dichiarato di una qualificazione europea. "This is football", sorride amaro Misha. Ma le emozioni per me non sono ancora finite: c'e' ancora tempo per un autostop d'emergenza in seconda serata, con 5 passeggeri stipati nell'Alfa Romeo rossa di un buon samaritano. E poi ancora di corsa, fino all'appuntamento con il treno agganciato per un soffio, a mezzanotte e mezzo, nel ventre sempre in ebollizione della meravigliosa stazione di Kiev. Il viaggio continua. 
            

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