giovedì 18 agosto 2011

Finché c'è Kim c'è sindacato

Kim Jin Suk ha 52 anni e una tempra invidiabile. Dal gennaio di quest’anno vive arrampicata su una gru del porto di Busan, in Corea del Sud, a 35 metri di altezza. Kim non è una acrobata circense, né tantomeno una bestia da reality. Nella vita fa la sindacalista. Sa cosa vuol dire lottare: specialmente quando la propria azienda (la multinazionale dei cantieri navali Hanjin) salta fuori con un licenziamento in blocco di 400 lavoratori; senza discussioni e senza condizioni. Si poteva chinare la testa,
provare a salvare il salvabile, metterci una toppa. Kim invece ha reagito di petto, con una protesta estrema che sta conquistando sempre più il cuore dei sudcoreani, e mettendo in progressivo imbarazzo il management della controparte. Kim dice che fino a quando i licenziamenti non verranno ritirati lei non scenderà dalla gru. E finora sta facendo sul serio. Molto sul serio. Non la ha stecchita il freddo invernale. Non la sta fiaccando ora la calura estiva. Kim resiste, fra le mille ristrettezze quotidiane che vivere sopra una gru comporta. Come ad esempio farsi bastare un secchio come wc, o rinunciare alla luce elettrica, che la Hanjin ha pensato bene di tagliare (in segno di profondo rispetto) all’abitacolo della sindacalista ribelle. Kim in compenso non è sola. Sotto la gru ci sono centinaia di lavoratori e semplici cittadini che la supportano nella protesta, facendole arrivare cibo, vestiti e altri accessori utili. Come lo smartphone alimentato a batterie solari, con cui la sindacalista numero uno al mondo riesce ad aggiornare un miniblog cliccatissimo su Twitter.
I licenziamenti della Hanjin dello scorso dicembre non sono arrivati come un fulmine a ciel sereno. Si inseriscono purtroppo in un trend iniziato 10 anni fa, che vede il colosso asiatico della cantieristica spostare progressivamente la propria produzione dalla Sud Corea verso le vicine Filippine. La Hanjin si è impiantata nell’arcipelago dal 2006, aumentando a ritmo vorticoso la forza lavoro filippina impiegata. Il governo di Manila ha costruito ponti d’oro ai businnessman coreani pur di farli stabilire nel bacino di Subic, concedendo per esempio 10 anni di esenzione fiscale completa. E soprattutto per la Hanjin ci sono i vantaggi dettati dal basso costo del lavoro, che rispetto alla Sud Corea aumenta di non poco i margini di profitto. Secondo i dati emersi dalle ricerche di una commissione d’inchiesta del parlamento filippino, dal 2006 a oggi si sono registrati 5000 infortuni sul lavoro, di cui 40 mortali. I 21mila lavoratori filippini della Hanjin lamentano inoltre pratiche di mobbing sistematico da parte dei superiori coreani, con calci e percosse incluse nel prezzo.
Anche nelle Filippine la società civile si sta muovendo per denunciare i comportamenti della Hanjin, con la chiesa cattolica locale in prima linea nell’organizzazione di carovane di protesta fra i moli del porto di Subic. Ma è in primo luogo in Sud Corea che l’entourage della Hanjin sta sudando freddo. Il parlamento di Seul all’unanimità ha votato una mozione di biasimo diretta al presidente coreano della multinazionale, che, convocato a una audizione la scorsa settimana, ha clamorosamente fatto perdere le sue tracce. Nel frattempo continuano le manifestazioni di solidarietà nei confronti di Kim Jin Suk, con i pullman che arrivano da ogni parte della Sud Corea e anche dal Giappone, in pellegrinaggio sotto la gru numero 85. I massimi dirigenti dei sindacati nel frattempo (compreso quello di Kim) hanno scelto di venire a patti con l’azienda, firmando un accordo per prepensionare quasi la metà dei licenziati, ammortizzando così parzialmente l’impatto della riduzione d’organico. Ma la gran parte dei lavoratori e dei coreani sembra continuare ad appoggiare la protesta di Kim, che vuole invece una vittoria piena, un dietrofront completo da parte dell’azienda. E’ difficile prevedere alla fine chi la spunterà: se i “signori della delocalizzazione” oppure la donna sola sulla gru; se la logica del profitto ad ogni costo, oppure la dignità dei lavoratori coreani licenziati e dei colleghi filippini sfruttati  Una cosa sola è certa: dipende anche da noi, dall’attenzione che sotto quella gru riusciremo a richiamare.  

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