Ottocento dipendenti di Unicredit sparsi per il territorio nazionale sono stati invitati dalla banca a dimettersi "volontariamente". Le virgolette sono d'obbligo, visto che per chi si rifiuta è già pronto un trattamento punitivo ad hoc: niente polizza sanitaria, niente ticket pasto e niente altri benefit previsti dal contratto integrativo. Fra l'altro degli 800 dipendenti messi nel mirino, solo 350 sono in età pensionabile. Gli altri andrebbero a ingrossare il girone infernale degli esodati. Qui di seguito l'articolo di Daniele Martini (Fatto Quotidiano) che documenta la vicenda.
Per
Unicredit sono “esodi incentivati”. Per
una fetta di lavoratori
e una parte del
sindacato bancari Cgil
si tratta invece addirittura
di “estorsioni”. Il
piano per l’uscita di
800 dipendenti ha
innescato un braccio di
ferro durissimo all’interno
della più grande
banca italiana e dal
momento che l’opera -
zione di sfoltimento è
vincolata all’adesione
di tutti gli
interessati, il progetto stenta a concretizzarsi.
Di più: siccome uno dei
dipendenti,
Vincenzo Carfì,
sindacalista storico dei
bancari Cgil, si è
rivolto alla magistratura penale
con una denuncia “per
arginare una tendenza
che non riguarda solo i
lavoratori del
credito” e la Procura di
Roma ha aperto un
fascicolo di indagine, c’è
la possibilità che tutta
la storia finisca in
tribunale.
A FIANCO
DI CARFÌ, altri dipendenti si sono
affidati all’avvocato
Antonio Pileggi, ordinario
di diritto del lavoro
all’università Tor
Vergata di Roma. Il
quale con una lettera
durissima ha diffidato i
dirigenti del grande
istituto bancario “a
desistere
immediatamente dalle
denunciate
condotte illecite e
discriminatorie per
scongiurare
un immane contenzioso”.
I dirigenti della banca
rispondono
che gli 800 hanno
maturato i requisiti
della
pensione e che il loro
allontanamento
è stato concordato
con tutti i sindacati.
Anche
se dal testo dell’accordo
risulta,
in realtà, che coloro
che
hanno già maturato i
titoli
per la pensione sono
350. Insomma, una bella
grana.
La storia ha un prologo
nell’autunno di 2
anni fa, quando
Unicredit inaugurò la stagione
delle “dimissioni
volontarie” per circa
1.500 dipendenti. Anche
allora ci fu chi evidenziò
forzature, ma il
progetto alla fine passò:
volenti o nolenti tutti
gli interessati aderirono
e la banca portò a
termine il suo piano
liberandosi di un bel po’
di dipendenti. Ora,
stando al giudizio di
chi si oppone, la storia si
sta ripetendo con le
aggravanti. Se allora Unicredit
aveva adombrato solo la
cancellazione
del premio di
produttività, ora sta moltiplicando
le pressioni.
Coloro che non intendono
farsi da parte sono
esclusi dai benefici
della contrattazione di
secondo livello
aggiuntiva al contratto di lavoro
collettivo. Perdono cioè
il salario integrativo,
la polizza sanitaria e
il ticket pranzo.
Inoltre sono messi
subito in ferie forzate.
E non è finita:
Unicredit ha chiesto ai dipendenti
il resoconto completo
dei contributi
versati, il cosiddetto
modello Ecocert, e
coloro che avevano
maturato i requisiti della
pensione sono stati
informati
che se non avessero
lasciato il
posto, sarebbero stati
allontanati
facendo uso della legge
223, quella sui
licenziamenti
collettivi.
Proprio in questi giorni
Unicredit
sta passando dalle
intenzioni
ai fatti avendo avviato
la procedura per il
licenziamento
di 44 dipendenti
a partire dal primo
dicembre.
Contro questo sbocco si
sono pronunciate le
rappresentanze
sindacali dei bancari
Cgil di Roma,
del Lazio e di Palermo.
E Francesca Artista,
segretaria dei bancari
Cgil della Sicilia in una
lettera al segretario
nazionale del suo sindacato,
Agostino Megale, insiste
sul contrasto
stridente tra il “fiume
di euro di bonus”
concessi ai manager, l’uscita
di Alessandro
Profumo trattato “come
uno sceicco arabo”
da una parte e dall’altra
la scelta di mandare a
casa in quel modo
centinaia di lavoratori.
SECONDO
GLI OPPOSITORI del progetto, i
dipendenti vengono in
pratica divisi tra serie
A e serie B. Per Carfì
tutto ciò assume il
profilo di una
estorsione. E Carfì è uno che
quando prende di petto
una causa, non si
tira indietro tanto
facilmente. Da sindacalista
Cgil e dipendente
Sicilcassa anni fa
accusò il vertice dell’istituto
di essersi piegato
in più di un’occasione
ai voleri della
mafia: fu immediatamente
sanzionato con
una deplorazione
scritta. Ma dopo un lungo
processo i magistrati
accertarono che le
sue denunce erano
fondate e la banca fu
condannata per
comportamento antisindacale.
Per cinque volte
Carfì è stato querelato
dai
capi Sicilcassa e per
cinque
volte è stato assolto
fino in
Cassazione dopo che
aveva
rinunciato alla
prescrizione.
Nel 2007 fu licenziato
dal Banco di Sicilia
(poi
confluito in Unicredit),
perché aveva svelato una
truffa da 200 milioni di
euro,
ma anche in quel caso
tre anni dopo fu
reintegrato
al suo posto. L’avvocato
Pileggi,
invece, nella sua
lettera a Unicredit
mette in evidenza una
contraddizione evidente.
Contesta il dichiarato
stato di crisi
della banca che presenta
un
utile netto di 1,4
miliardi di
euro da inizio anno e
ricorda
che la riforma Fornero
delle pensioni incentiva
la
permanenza al lavoro dei
dipendenti e quindi
conclude:
“Saranno i miei
assistiti
(i dipendenti che la
banca
vorrebbe allontanare
ndr) a
decidere se e quando
andare
in pensione prima del
compimento del settantesimo anno di età”.
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