venerdì 30 novembre 2012

Unicredit, bancari sotto ricatto


Ottocento dipendenti di Unicredit sparsi per il territorio nazionale sono stati invitati dalla banca a dimettersi "volontariamente". Le virgolette sono d'obbligo, visto che per chi si rifiuta è già pronto un trattamento punitivo ad hoc: niente polizza sanitaria, niente ticket pasto e niente altri benefit previsti dal contratto integrativo. Fra l'altro degli 800 dipendenti messi nel mirino, solo 350 sono in età pensionabile. Gli altri andrebbero a ingrossare il girone infernale degli esodati. Qui di seguito l'articolo di Daniele Martini (Fatto Quotidiano) che documenta la vicenda.

Per Unicredit sono “esodi incentivati”. Per

una fetta di lavoratori e una parte del

sindacato bancari Cgil si tratta invece addirittura

di “estorsioni”. Il piano per l’uscita di

800 dipendenti ha innescato un braccio di

ferro durissimo all’interno della più grande

banca italiana e dal momento che l’opera -

zione di sfoltimento è vincolata all’adesione

di tutti gli interessati, il progetto stenta a concretizzarsi.

Di più: siccome uno dei dipendenti,

Vincenzo Carfì, sindacalista storico dei

bancari Cgil, si è rivolto alla magistratura penale

con una denuncia “per arginare una tendenza

che non riguarda solo i lavoratori del

credito” e la Procura di Roma ha aperto un

fascicolo di indagine, c’è la possibilità che tutta

la storia finisca in tribunale.

A FIANCO DI CARFÌ, altri dipendenti si sono

affidati all’avvocato Antonio Pileggi, ordinario

di diritto del lavoro all’università Tor

Vergata di Roma. Il quale con una lettera

durissima ha diffidato i dirigenti del grande

istituto bancario “a desistere

immediatamente dalle denunciate

condotte illecite e

discriminatorie per scongiurare

un immane contenzioso”.

I dirigenti della banca rispondono

che gli 800 hanno

maturato i requisiti della

pensione e che il loro allontanamento

è stato concordato

con tutti i sindacati. Anche

se dal testo dell’accordo risulta,

in realtà, che coloro che

hanno già maturato i titoli

per la pensione sono 350. Insomma, una bella

grana.

La storia ha un prologo nell’autunno di 2

anni fa, quando Unicredit inaugurò la stagione

delle “dimissioni volontarie” per circa

1.500 dipendenti. Anche allora ci fu chi evidenziò

forzature, ma il progetto alla fine passò:

volenti o nolenti tutti gli interessati aderirono

e la banca portò a termine il suo piano

liberandosi di un bel po’ di dipendenti. Ora,

stando al giudizio di chi si oppone, la storia si

sta ripetendo con le aggravanti. Se allora Unicredit

aveva adombrato solo la cancellazione

del premio di produttività, ora sta moltiplicando

le pressioni.

Coloro che non intendono farsi da parte sono

esclusi dai benefici della contrattazione di

secondo livello aggiuntiva al contratto di lavoro

collettivo. Perdono cioè il salario integrativo,

la polizza sanitaria e il ticket pranzo.

Inoltre sono messi subito in ferie forzate.

E non è finita: Unicredit ha chiesto ai dipendenti

il resoconto completo dei contributi

versati, il cosiddetto modello Ecocert, e

coloro che avevano maturato i requisiti della

pensione sono stati informati

che se non avessero lasciato il

posto, sarebbero stati allontanati

facendo uso della legge

223, quella sui licenziamenti

collettivi.

Proprio in questi giorni Unicredit

sta passando dalle intenzioni

ai fatti avendo avviato

la procedura per il licenziamento

di 44 dipendenti

a partire dal primo dicembre.

Contro questo sbocco si

sono pronunciate le rappresentanze

sindacali dei bancari Cgil di Roma,

del Lazio e di Palermo. E Francesca Artista,

segretaria dei bancari Cgil della Sicilia in una

lettera al segretario nazionale del suo sindacato,

Agostino Megale, insiste sul contrasto

stridente tra il “fiume di euro di bonus”

concessi ai manager, l’uscita di Alessandro

Profumo trattato “come uno sceicco arabo”

da una parte e dall’altra la scelta di mandare a

casa in quel modo centinaia di lavoratori.

SECONDO GLI OPPOSITORI del progetto, i

dipendenti vengono in pratica divisi tra serie

A e serie B. Per Carfì tutto ciò assume il

profilo di una estorsione. E Carfì è uno che

quando prende di petto una causa, non si

tira indietro tanto facilmente. Da sindacalista

Cgil e dipendente Sicilcassa anni fa

accusò il vertice dell’istituto di essersi piegato

in più di un’occasione ai voleri della

mafia: fu immediatamente sanzionato con

una deplorazione scritta. Ma dopo un lungo

processo i magistrati accertarono che le

sue denunce erano fondate e la banca fu

condannata per comportamento antisindacale.

Per cinque volte

Carfì è stato querelato dai

capi Sicilcassa e per cinque

volte è stato assolto fino in

Cassazione dopo che aveva

rinunciato alla prescrizione.

Nel 2007 fu licenziato

dal Banco di Sicilia (poi

confluito in Unicredit),

perché aveva svelato una

truffa da 200 milioni di euro,

ma anche in quel caso

tre anni dopo fu reintegrato

al suo posto. L’avvocato Pileggi,

invece, nella sua lettera a Unicredit

mette in evidenza una contraddizione evidente.

Contesta il dichiarato stato di crisi

della banca che presenta un

utile netto di 1,4 miliardi di

euro da inizio anno e ricorda

che la riforma Fornero

delle pensioni incentiva la

permanenza al lavoro dei

dipendenti e quindi conclude:

“Saranno i miei assistiti

(i dipendenti che la banca

vorrebbe allontanare ndr) a

decidere se e quando andare

in pensione prima del

compimento del settantesimo anno di età”.

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