mercoledì 21 novembre 2012

Tobin Tax all'italiana



Nella legge di stabilità in via di approvazione, uno dei punti più dibattuti è la tassa sulle transazioni finanziarie. La cosiddetta Tobin Tax, che impone una aliquota dello 0,05% sull'acquisto di svariati prodotti finanziari (dalle azioni ai derivati), era da anni al centro delle campagne del movimento No Global. Ora anche il governo dei tecnici sembra essersene appropriato. Sembra, appunto. Perché ancora la bozza di legge deve passare dal senato. E i tentativi di depotenziare il provvedimento certamente non mancheranno.


Secondo l'articolo di Marco Palombi pubblicato sul Fatto Quotidiano di oggi, la lobby dei banchieri si sarebbe già messa al lavoro per sollecitare un emendamento governativo da presentare in occasione del passaggio del testo a Palazzo Madama. La modifica mirerebbe, secondo le fonti del giornale diretto da Antonio Padellaro, a escludere dalla tassazione gli acquisti di derivati, le famose scommesse sull'alta finanza che costituiscono di gran lunga il pezzo forte della speculazione. Basti pensare che la sola Intesa San Paolo, sempre secondo le stime dell'articolo oggi in edicola, secondo il progetto di legge allo stato attuale sarebbe costretta a pagare 1 miliardo di tasse per l'acquisto di derivati. Il gettito complessivo dello stato per quel che riguarda i derivati (sommando quindi la quota delle altre grandi banche) assumerebbe dimensioni ancora maggiori: 3,5 miliardi. Quanto basta per far suonare l'allarme rosso fra i manager dei principali istituti di credito italiani, che negli ultimi anni proprio sul trading speculativo a breve termine hanno accresciuto i loro margini.
Ora bisognerà vedere cosa accadrà durante l'esame del senato. Il Pd annuncia un'opposizione ferma a un simile emendamento, mentre sugli esponenti del vecchio centro-destra (Pdl, Udc, Lega) le lusinghe dei banchieri hanno più possibilità di fare breccia. La prossima settimana sapremo come sarà andata a finire.  

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