mercoledì 28 novembre 2012

Lo stato latitante


Il declino italiano che stiamo vivendo è fotografabile negli ambiti più svariati. Ci sono le città fantasma come L'Aquila, con il loro patrimonio artistico di valore smisurato, lasciate deperire a 3 anni dal terremoto per mancanza di fondi. E ci sono le città lazzeretto come Taranto, dove la fabbrica di acciaio che per decenni ha appestato la popolazione sta per essere riaperta a dispetto dei provvedimenti giudiziari di sequestro, con un decreto governativo ad hoc pronto per essere sfornato.

Nel caso Ilva siamo di fronte a uno stato impotente che non ha i soldi necessari per emanciparsi dall'untore Emilio Riva e provvedere ai lavori di bonifica, di ristrutturazione o di riconversione del sito produttivo. Al governo manca anche il coraggio per mettere l'imprenditore all'angolo e costringerlo, di concerto con la magistratura, a un risarcimento che renda fattibile un progetto di rifioritura ambientale e lavorativa in una delle città più maltrattate d'Italia. Macché, niente di tutto questo. Lo stato insieme alle migliaia di dipendenti e alle rispettive rappresentanze sindacali è finito ostaggio del "padrone delle ferriere", che pur dagli arresti domiciliari a cui è confinato si sta dimostrando in grado di dettare le sue condizioni ai poteri legislativo ed esecutivo. Per vincere gli basterà una serrata.
Lo stato latitante è infine messo a nudo nello scompenso crescente a cui è sottoposto il sistema sanitario pubblico. La conquista sociale più importante degli ultimi 50 anni è messa sempre più a dura prova dai tagli in serie operati dai governi Berlusconi e Monti (30 miliardi di euro sforbiciati fra il 2010 e il 2015). Le regioni, anche le più virtuose come la nostra Toscana, fino a ora sono riuscite con grande fatica a rendere indolore l'austerity, combattendo sprechi e accorpando le strutture ospedaliere. Ma purtroppo i tagli finora effettuati sono niente in confronto a quelli prescritti per i prossimi 3 anni. Si rischia seriamente di intaccare parti vitali della sanità pubblica, al punto che il premier Monti ieri si è lasciato andare a una dichiarazione agghiacciate riguardo il futuro del servizio, parlando di nuove fonti di finanziamento da trovare al più presto. Tradotto dal burocratese, la privatizzazione non è più un tabù.
Scenari come questi non fanno che accrescere fra i cittadini il senso di ingiustizia e di deprivazione. Vogliono farci credere che certe scelte politiche suicide siano una strada obbligata, l'addio a un lusso che non possiamo più permetterci, un sacrificio necessario sulla strada del risanamento, un pedaggio indispensabile per restare nell'Europa che conta. In realtà ci ingannano, confondendo la parte superflua e non più sostenibile dei nostri stili di vita (il sistema dei trasporti, per esempio, quello sì da ripensare e da ridimensionare soprattutto sulle lunghe distanze) con il più inalienabile dei diritti sanciti da qualunque socialdemocrazia, ovvero il diritto alla salute. Di fronte a questo ennesimo affronto "tecnico" è in gioco la nostra dignità di cittadini e di società civile.
Tommaso Giani

Nessun commento:

Posta un commento

(si prega la sintesi)