sabato 19 maggio 2012

Riprendiamoci l'Europa


In questo momento nelle vie di Francoforte stanno sfilando circa 20mila persone. Sono l'avanguardia di un movimento internazionale, dalla cui maturazione credo dipendano le sorti dell'Europa e di quel che il nostro continente ancora incarna a livello di pace e solidarietà sociale fra popoli vicini. Il corteo di oggi è solo l'evento conclusivo di una tre-giorni chiamata "Blockupy Frankfurt": un grido indignato ma non-violento contro le politiche di austerity che stanno triturando lo stato sociale europeo; un monito lanciato non a caso nella città della Banca centrale europea, istituzione che del rigorismo merkeliano e dello strapotere dello spread ai danni dei cittadini rappresenta l'epicentro. Fino a ieri a Francoforte a manifestare c'ero anch'io, insieme ad attivisti tedeschi, greci, italiani, spagnoli... Quella che vi offro è una testimonianza di prima mano, per sapere che cosa davvero è successo.

Uno dei criteri in base ai quali la riuscita di una manifestazione si misura è il peso obiettivo dei numeri. E sotto questo aspetto, c'è poco da dire, si tratta di una sconfitta. Poche migliaia di persone sono uno scherzo in confronto alla vastità delle popolazioni coinvolte dalle politiche di austerity e all'importanza della posta in gioco (la difesa di un sentimento di solidarietà pan-europeo e, a cascata, la richiesta di un'Europa che torni a considerare la salute, l'istruzione, l'ambiente, il lavoro e la pensione come prioritari rispetto all'ossessione del pareggio di bilancio).
La causa di questo assenteismo è stata in primo luogo la debolezza plateale degli organizzatori. La manifestazione è nata in modo quasi estemporaneo dall'iniziativa di alcuni lodevoli cespugli del mondo antagonista e della sinistra radicale tedesca. Volenterosi, certo, ma allo stesso tempo incapaci di aggregare sulla loro scia altri soggetti di rilievo dalla stessa Germania e dagli altri paesi europei: nessun sindacato, nessun partito di massa, nessuna ong stile Emergency, nessun artista di grido o accademico di spessore. Nessuno ha fiutato la grande occasione per testimoniare un'altra idea di Europa e per scuotere l'opinione pubblica dal torpore. Nessuno di questi attori ha saputo guardare al di là del proprio naso, oltre la propria piccola o grande vertenza: in tanti nemmeno l'hanno saputo, ma altrettanti hanno fatto finta di non sapere che il futuro del ruolo di un sindacato o di un partito socialdemocratico in Italia o in Spagna è fortemente compromesso senza un cambio di rotta sociale e federale, che partendo dalla Germania possa rifondare l'Europa su nuove basi democratiche.
Così gli unici a trovare le risorse e le motivazioni per affrontare il viaggio sono stati, almeno in Italia, gli stoici esponenti dei centri sociali e dei collettivi studenteschi che, al netto dei loro limiti (pregiudizio nei confronti delle forze dell'ordine, autoreferenzialità e poco allenamento ai compromessi costruttivi) ho scoperto a Francoforte molto più preziosi e più vicini a me di quanto credessi. Insieme abbiamo provato a sfilare e a manifestare, nonostante i divieti delle autorità di sicurezza cittadine che avevano tutto l'interesse a soffocare sul nascere simili proteste, e che hanno avuto vita facile nel negare i permessi a una manciata di "antagonisti sovversivi" anziché a un esercito di sigle della società civile che avrebbe avuto enormi più possibilità di mediare e di far valere il pieno diritto di manifestare; sigle che però hanno marcato visita clamorosamente.
 Le forze di polizia erano più numerose dei manifestanti. L'imponenza e l'invadenza delle misure di sicurezza a tratti sembrava anche comica, vista la sproporzione delle forze in campo. In compenso va detto che la strategia adottata dai poliziotti tedeschi per mettere in pratica il divieto di manifestare è stato inappuntabile. In tutti e due i giorni di Blockupy a cui ho partecipato non ho mai visto un manganello agitarsi o un lacrimogeno esplodere. Niente casco, niente scudi. Le forze dell'ordine si limitavano a circondare con un cordone le piazze o gli incroci che di volta in volta diventavano scenario dei sit-in dei manifestanti: il cordone restava chiuso per ore senza tensioni, mentre con i megafoni venivano ripetuti più e più volte gli inviti a uscire dal cordone e sciogliere l'assembramento. Quindi chi voleva svincolarsi ne aveva tutte le possibilità. Gli unici fermati, fra cui 15 italiani nella mezza giornata di giovedì, sono stati gli "irriducibili" che non hanno voluto smontare i sit-in anche a distanza di ore e di vari avvertimenti. Ma pure in caso di fermo o di evacuazione forzata mai è stata usata violenza: gli attivisti venivano presi di peso quasi con delicatezza, senza bisogno di botte o manganellate.
I vari tentativi folcloristici di avvicinamento alla piazza della Bce si sono puntualmente arrestati di fronte al perimetro di transenne e di blindati che circondava l'Eurotower. Non sono mancati i momenti toccanti e ad alto contenuto emotivo, come i girotondi dei percussionisti  rosa-vestiti di Attac Germany; o le bandiere greche disegnate coi gessetti sull'asfalto, a un passo dalla zona rossa e a pochi metri dalla Banca centrale europea. Purtroppo sono mancati totalmente incontri ravvicinati e dialoghi con uomini della city finanziaria, visto che tutte le banche intorno alla Bce hanno pensato bene di allungare il weekend e di rifuggire dal grido della piazza. Il campeggio che da vari mesi era stato allestito nel giardino proprio davanti all'ingresso della banca degli euro è stato sgomberato in questi giorni dalle forze di polizia. Le tende però sono rimaste lì, come un monito silenzioso, pronte ad essere nuovamente occupate da domani, quando si spegneranno i riflettori di Blockupy e il clamoroso spiegamento di polizia sarà cessato. Intanto però la Bce sta lavorando alacremente per spostare il proprio quartier generale in una cattedrale nel deserto fuori città: i cantieri sono già a buon punto, in modo da blindarsi meglio ed essere ancor più al riparo dalle voci dissenzienti. E il movimento, invece, quali prossime mosse conta di intraprendere? Cosa faremo noi? Ci interessa cavalcare il refolo di vento soffiato in questi tre giorni? Ci interessa tornare a Francoforte come sindacato, magari nel giorno di un ipotetico primo sciopero europeo in favore dell'Europa dei diritti sociali? Oppure continueremo a dividerci per un iscritto in più o per un tozzo di pane sottobanco, lasciando l'Europa appassire all'ombra di nuovi egoismi, nuove tecnocrazie, nuovi disvalori?
Tommaso Giani  

Nessun commento:

Posta un commento

(si prega la sintesi)