venerdì 21 ottobre 2011

Nordafrica, prove tecniche di democrazia


Gheddafi è morto, com'è morto Saddam Hussein. La Libia è un paese ricchissimo di petrolio, così come lo è l'Iraq: guarda caso in entrambi i paesi la sollecitudine dell'intervento Nato è stata notevole, a dispetto di altre rivolte pro-democrazia (come oggi in Siria e Yemen) abbandonate miseramente al proprio destino. La Libia è un paese attraversato da profonde fratture tribali: i suoi confini sono stati disegnati col righello dalle ex potenze coloniali europee; il sentimento di unità nazionale, una volta caduto il comune denominatore dell'avversità al tiranno, è ancora tutto da costruire; stessa identica situazione vissuta, guarda caso, a Bagdad e dintorni dal 2003 in poi. Il parallelo fra Iraq e Libia, insomma, è facile da tracciare. Una serie di affinità sinistre che certo non aiutano a pensare con ottimismo il futuro del popolo libico. La speranza è che gli errori commessi in Iraq dalle nostre lobby militari e petrolifere servano come lezione ai paesi occidentali e alle loro società civili, per evitare una fotocopia della guerra civile permanente lasciata in eredità dalla nostra scellerata campagna mediorientale.


D'altra parte, accanto alle affinità esistono anche significative differenze che fanno ben sperare. Anzitutto in Libia non è presente una forza d'occupazione occidentale, quindi la morsa delle potenze straniere sul paese è di fatto molto meno stringente che in Iraq, dove la transizione venne telecomandata dal generale americano Bremer. La rivolta di Bengasi invece è nata dall'interno, pacificamente; e trasformatasi in violenza solo a causa della determinazione folle di Gheddafi che, a differenza di altri dittatori sopraffatti dalle piazze della primavera araba, ha voluto resistere fino all'ultimo sangue. Il fiancheggiamento aereo delle forze Nato è stato decisivo, ma ora il pallino del gioco sembra in mano al governo di transizione libico. A questo organo dunque spetterà l'arduo compito di avviare su solide basi un processo di riconciliazione nazionale, per curare gli strascichi di rancore lasciati da una guerra civile durissima. Una guerra dove le atrocità sono state commesse da entrambe le parti, come ha denunciato nelle scorse settimane Amnesty International, e che quindi merita un'ammissione di colpe generalizzata. L'esempio del Sudafrica post-apartheid a questo proposito potrebbe essere molto utile.   
Nel frattempo i libici dovranno affrontare la sfida istituzionale. Eleggere una prima assemblea, darsi una costituzione, organizzare una forma di governo federale che tuteli le numerose autonomie, affrontare a testa alta le avances delle multinazionali petrolifere che cercheranno di tirare il più possibile la corda dalla loro parte nella sottoscrizione dei nuovi contratti di estrazione. Solo se buona parte delle rendite petrolifere resteranno in mano pubblica e verranno investite e redistribuite adeguatamente, un vero sviluppo economico potrà materializzarsi. Uno sviluppo a cui guarda con trepidazione la vicina Tunisia, la cui economia è legata a doppio filo con l'oro nero di Tripoli. Fino all'anno scorso era proprio la classe media libica una primaria fonte di clientela per il settore medico privato e turistico-alberghiero di Tunisi, senza contare i numerosi interscambi e le rimesse dei tunisini espatriati in Libia, ora quasi tutti tornati di corsa al di qua del confine. La scorsa estate, nel pieno del conflitto intorno a Tripoli, il tasso di disoccupazione in Tunisia ha raggiunto il 19%. Ora si spera che il peggio sia alle spalle, confidando su un miglioramento del sistema educativo e sulle potenzialità di un settore manifatturiero (meccanica-elettronica) già presente prima dei rivolgimenti democratici, con delocalizzazioni importanti da parte di imprese europee, americane e giapponesi (Valeo, Lear Corporation, Draxel Maier, Yazaki, Yura Corporation). E proprio domenica prossima in Tunisia ci saranno le prime elezioni democratiche dopo la destituzione nonviolenta di Ben Ali. Si voterà per la composizione della assemblea costituente, e il numero di partiti presenti coi propri candidati sulla scheda elettorale (più di 80 simboli) testimonia la voglia travolgente di democrazia che spira in Nordafrica. La campagna elettorale è stata finora partecipatissima e priva di turbolenze, caratterizzata da una entusiasmante presenza femminile, sia a livello di attiviste che di candidate (il governo transitorio ha imposto quote rosa del 50%). L'accettazione serena del risultato all'indomani dell'appuntamento elettorale sarà il primo esame di maturità della rinata democrazia maghrebina.    

1 commento:

  1. Gheddafi quando da vivo si comportava come una bestia sanguinaria è stato ospite con gli onori di un capo di stato anche nel nostro paese ricevendo omaggi oltre ogni decenza.
    Ma ora non è morto, è stato ucciso, con una violenza che ha fatto parere bestie sanguinarie i suoi assassini.
    Speriamo solo che questo sia solo un episodio e che la conquistata libertà faccia costruire un futuro di pace alle donne e agli uomini che vivono in Libia.

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