giovedì 20 ottobre 2011

Indignados? Dal conflitto alla partecipazione


Sabato 15 ottobre a Roma assistevamo sconsolati al tramutarsi di una manifestazione densa di contenuti e di istanze in un pomeriggio di assurda violenza.  E scene dello stesso tenore si sono viste questa estate per le vie di Londra e si notano sempre più di frequente a diverse latitudini.
Si dirà che
dinamiche distruttive di questo tipo non sono una novità e che fa parte del nostro destino convivere con la rabbia, in particolare dei giovani, e nostro compito prevenire, combattere, condannare. Potremmo pensare che ciò che cambia nel corso del tempo siano gli obiettivi. E il fatto che i figli di oggi si scaglino contro Walmart, FMI o BCE rispetto ai loro genitori che protestavano contro i governi non è che la prova più evidente dello sbilanciamento del potere dal mondo politico a quello dell’economia. Tutto vero. Almeno in parte. Ossia rispetto al ruolo che possiamo svolgere come educatori, come cittadini, come sindacalisti.
Provo a ragionare sul tema indicando due cause dell’accentuarsi di quello che si potrebbe chiamare il malessere della partecipazione.
Primo. La mancanza di una cultura della partecipazione, una abitudine che si impara fin da ragazzi e che oggi viene calpestata proprio fin da quell’età in cui si gettano le basi del vivere civile. Cosa diciamo infatti a quei tanti ragazzi che vedono la loro voglia di discutere e di  confrontarsi compromessa da quei pochi che impongono alla maggioranza una deriva estremista o il triste rituale delle occupazioni che accompagna ormai con svizzera puntualità ogni ripresa della vita scolastica? Forse tra qualche anno avremo la piena consapevolezza del danno provocato con l’esclusione di materie quali l’educazione civica nelle scuole e l’inserimento progressivo di inutili riempitivi.
Ma la cultura del partecipare oggi soccombe anche nei film, nelle pubblicità e (con buona pace di de Coubertin)  anche nello sport. Sintomatica a questo proposito è la logica calcistica dei “tre punti”, dove al pareggio delle forze in campo corrisponde una somma punti minore (2) rispetto alla situazione in cui una delle due squadre fa bottino pieno. Anche queste cose influenzano una cultura insinuando lentamente l’idea che solo vincendo “ne vale la pena”.
Secondo. Uno svuotamento di senso della rappresentanza, ovvero la sempre più ricorrente sensazione che la nostra partecipazione sia inutile. C’è sempre infatti un livello superiore al quale viene demandata ogni decisione e che determina vincoli insuperabili a livello più basso. Ne è un esempio sul fronte sindacale il ridursi progressivo dell’autonomia dei singoli segretari sas, condizionati da decisioni prese dalla sas complesso, a sua volta vincolata dalla sas di gruppo che deve però sottostare ai vari diktat di strutture nazionali… Riportato a livello politico è facile constatare che la stessa dinamica si riscontra su quel livello istituzionale verticale che dai comuni arriva fino allo stato centrale, dove le difficoltà di quest’ultimo sono scaricate sotto forma di tagli e restrizioni sul livello più basso.  In entrambi i casi abbiamo un risultato comune: chi è a contatto diretto con il soggetto rappresentato (iscritto, cittadino) ha sempre meno possibilità di una azione diretta a beneficio di colui che rappresenta, con la conseguenza di un permanente stato di frustrazione per essere “fuori dal gioco” e per non poter illustrare un agire proprio ma giustificare decisioni altrui.
Fino a ieri i delegati sindacali, sindaci ed amministratori agivano e discutevano consapevoli del loro ruolo. Ed altrettanta consapevolezza di tale ruolo risiedeva nei loro iscritti e concittadini.
Oggi i due soggetti (rappresentante e rappresentato) sono entrambi consapevoli di questo svuotamento. Chi partecipa ad una assemblea con il proprio rappresentante sindacale o ad una riunione con l’assessore all’urbanistica sa benissimo che il raggio di azione di chi lo rappresenta è estremamente ridotto e che spesso si sta celebrando una vuota liturgia in cui il senso e la capacità decisionale si trovano lontano.
Ci siamo chiesti perché la partecipazione a questo tipo di appuntamenti si riduce anno dopo anno con le pochissime eccezioni (pesanti ristrutturazioni, delocalizzazioni) nelle quali siamo consapevoli di giocarci le ultime carte e dove nella maggior parte dei casi la fiducia è più rivolta ad attori ed eventi extra che al normale canale della trattativa negoziale? E abbiamo realizzato che in molti casi sono le strutture stesse che, accettando di fatto questa logica del demandare verso l’alto, stanno alimentando in maniera perversa questo fenomeno?
Quali sono dunque le alternative probabili? Mentre fino a pochi anni fa prevaleva la logica del “o dentro o fuori” adesso sembra incrementarsi quella del “o fuori o contro” dove, a fronte di quella parte che si ritira dalla discussione fa da contraltare una parte minore, ma più rumorosa, che lotta solo “contro” non preoccupandosi delle ripercussioni delle sue azioni, tra cui va annoverata anche la riduzione dello spazio di manovra per chi continua comunque ad accettare la logica della partecipazione e si batte rispettando le regole del gioco. Quest’ultima è ancora una “maggioranza consapevole” che però, per sfiducia o rabbia, si assottiglia progressivamente perdendo pezzi (talora pregiati) che vanno a confluire nell’una categoria (i disinteressati) o nell’altra (gli oppositori)  che non contribuiscono alla crescita del sistema ma che in ultima analisi sono due facce della stessa medaglia, la non partecipazione.
C’è poi un’altra strada. Quella di invertire la tendenza e ridare un “senso” alla rappresentanza. E sarà solo con la volontà e la pazienza di percorrere questa strada che potremo riempire il vuoto di idee e di persone nelle nostre assemblee scolastiche, cittadine, sindacali.
Alessandro Del Bigo

1 commento:

  1. fermiamoci un attimo a pensare dove i giovani possano, oggi, trovarsi per parlare tra di loro, con tranquillità e senza sentirsi giudicati ... luoghi come circoli, piazze, muretti (come c'erano una volta) adesso sono rari ... spesso utilizzano internet .. e a me pare che sia difficile discutere seriamente di un argomento per chat o mail o blog ...
    d'altra parte molte cose appaiono "sporche" ai giovani (e non solo) come la politica, il sindacato, le imprese, la chiesa ecc.
    e, forse, per coloro che sono più arrabbiati col mondo che non li considera e che non gli "fa spazio" non rimane che protestare indignandosi per tutto ciò ...
    io sono con loro

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(si prega la sintesi)