giovedì 29 settembre 2011

Capire Prato


Ieri mattina all'ora di pranzo mi sono imbattuto in mezzora di televisione ad alta qualità. Corrado Augias ha intervistato simultaneamente un uomo e una donna: un imprenditore-scrittore e una regista, entrambi di Prato. Le vicende della loro città sono al centro dei rispettivi ultimi lavori, che il programma di Augias ha provveduto sommariamente a presentare: così la regista, Teresa Paoli, ha commentato alcuni brevi stralci del documentario "Di tessuti e di altre storie", vincitore del Premio Ilaria Alpi 2011; mentre l'imprenditore-scrittore, Edoardo Nesi, è stato sollecitato a partire da alcuni estratti del libro "Storia della mia gente", vincitore dell'ultimo Premio Strega. Entrambe le presentazioni mi hanno messo addosso una tale smania che nel pomeriggio stesso sono corso al computer a divorarmi per intero sia il documentario che il libro.

Per una giornata buona mi sono immerso nella città di Prato e nelle sue ferite aperte, che le immagini di Teresa e le pagine di Edoardo descrivono così bene: con lucidità, ma anche con tanto coinvolgimento, per un dramma lavorativo vissuto prima di tutto all'interno delle proprie famiglie. Il babbo di Teresa ha pagato la crisi con il licenziamento da una delle tante fabbriche tessili in chiusura; la famiglia di Edoardo invece la fabbrica di tessitura l'ha vista chiudere dalla parte del datore di lavoro, dopo tre generazioni di fasti, di assunzioni e di ordinativi da mezzo mondo. Entrambe sono storie e punti di vista che valevano la pena di essere raccontati. Aiutano a capire Prato e, più in profondità, il tracollo attraversato dall'industria manifatturiera italiana nel giro degli ultimi 15 anni.
Teresa ed Edoardo sono concordi nell'individuare l'origine della crisi pratese in un avvenimento di portata epocale, paragonabile alla caduta del muro di Berlino. Un 11 settembre che ha cambiato il mondo, pur ricevendo molta meno enfasi dal circuito mediatico internazionale. Stiamo parlando dell'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nell'anno 2001: un sodalizio che ha unito Unione europea, Stati Uniti e il regime autoritario orientale all'insegna del libero mercato. Anche se poi a livello di prassi non tutto il commercio intercontinentale è stato liberalizzato (vedi protezionismo agricolo ancora vigente in Europa e America), certamente l'impulso verso l'abolizione delle dogane è stato impressionante, e il tessile si è rivelato appunto uno di quei settori dove la filosofia del Wto è stata applicata con maggiore ortodossia.
Una volta messi a nuotare nello stesso acquario della Cina, gli imprenditori pratesi sono finiti inevitabilmente fuori mercato. Negli ultimi 10 anni, ovvero dall'ingresso della Cina nel Wto in poi, il 40% delle imprese tessili della provincia ha chiuso i battenti, mentre 10mila persone hanno perso il posto di lavoro. L'emorragia occupazionale prosegue ancora oggi, e il documentario di Teresa Paoli ha il merito di ritrarla nelle sue sfaccettature meno eclatanti. Quella ad esempio dei terzisti: artigiani che lavorano in proprio dentro i loro laboratori, compiendo lavorazioni preliminari alla materia prima, che poi passa alle imprese per la tessitura vera e propria. La videocamera di Teresa cattura la commozione e la disperazione di uno di questi terzisti, nel momento in cui l'ufficiale giudiziario e la polizia irrompono nel capannone per pignorargli i macchinari ed eseguire lo sfratto. L'affitto del laboratorio e gli altri oneri erano diventati insostenibili per Massimiliano, a causa dei pagamenti non avvenuti da parte delle imprese committenti. "Noi terzisti siamo i più colpiti dalla crisi pratese - è il grido di dolore della categoria -  perché essendo lavoratori autonomi nemmeno ci spetta una mobilità o una cassa integrazione come agli altri operai". Edoardo Nesi invece, nel suo libro autobiografico, immortala lo smarrimento di un quarantenne figlio di industriali che vede all'improvviso sbriciolarglisi sotto i piedi lo status sociale costruito nello spazio di decenni dalla sua famiglia: le vacanze studio in America d'estate, i viaggi d'affari trionfanti in Germania, le serate mondane a Forte dei Marmi, e insieme la soddisfazione per un capitalismo di provincia che faceva stare più o meno bene non solo te, ma anche chi ti stava intorno. E ora tutto questo si stava disintegrando, come in un incubo, con una città intera scoperatasi da un momento all'altro spossessata, denudata, fallita, precipitata nella paura o nella certezza di essere poveri.
Il bersaglio più facile dell'esasperazione pratese degli anni 2000 è stato e continua a essere quel pezzetto di Cina che a Prato ha scelto di vivere. Un pezzetto che però nel microcosmo pratese pesa parecchio in termini relativi, visto che i cinesi costituiscono il 20% dei 200mila abitanti della città. Sia il documentario che il libro aiutano a chiarire un grosso equivoco diffuso fra i non addetti ai lavori o fra i pratesi meno accorti: ovvero che la fonte dei guai del tessile Made in Prato siano le sempre più numerose fabbriche del "Pronto Moda" gestite dai cinesi nel cosiddetto Macrolotto, alla periferia della città. In realtà italiani e cinesi fin dagli anni 80 operano a Prato in settori diversi, seppur contigui: gli italiani nella tessitura, i cinesi nell'abbigliamento. Piuttosto, i cinesi che "hanno portato via" il lavoro agli italiani (e che riforniscono di tessuto anche i Pronto Moda dei loro connazionali di Prato) vivono e lavorano in madrepatria. Tanti italiani però non lo capiscono, o non lo vogliono capire, così il razzismo è diventata una impropria valvola di sfogo al malessere della città.
Altro discorso sono i problemi di integrazione, quelli sì presenti eccome fra le due comunità: il non rispetto dentro tanti capannoni cinesi delle più elementari norme sulla sicurezza del lavoro, sull'igiene, sui diritti sociali, sugli adempimenti fiscali. Ma i due problemi, crisi industriale e integrazione, dovrebbero essere analizzati separatamente nelle loro differenti dinamiche. Infatti, mentre la crisi delle tessiture continua a mordere irreversibile, in fatto di integrazione si stanno aprendo importanti brecce di speranza. Prima fra tutte l'emergere della seconda generazione di immigrati: i figli di cinesi nati a Prato, quelli che parlano fiorentino, che frequentano gli asili, le scuole elementari, che vivono fuori dai capannoni, che imparano, studiano, giocano, sognano in modo molto simile ai loro amici figli di italiani. "Questi ragazzini sono un ponte fra culture, un segnale di cambiamento bellissimo e importante", diceva ieri Nesi in televisione. E che il mondo delle relazioni umane possa seguire un orizzonte diverso rispetto a quello delle dinamiche industriali lo conferma anche la solidarietà profonda e la consapevolezza nata in seno allo stesso tessuto economico pratese. Se a suon di chiusure i soldi in banca sono diminuiti pesantemente, a suon di manifestazioni le reti amicali si sono consolidate in egual misura. Non a caso sia il documentario di Teresa che il libro di Edoardo si concludono toccando proprio questo tasto. Nesi fa parlare se stesso e i suoi pensieri durante la prima grande manifestazione di piazza a cui prendono parte lui e altre migliaia di pratesi, in piazza Mercatale, nel febbraio 2009, intorno a un chilometrico striscione tricolore con su scritto PRATO NON DEVE CHIUDERE. E' proprio lì, in corteo, meravigliandosi nel riabbracciare facce e storie così diverse e solidali (e pronte a darsi una mano, nonostante tutto, dopo tanti anni di incomunicabilità), che lo scrittore rintraccia quel sentimento comunitario, quel "la mia gente" che spadroneggia nel titolo del libro. Il documentario della Paoli invece culmina nelle parole di Sandra, una delle terziste sul lastrico, che riflette sui cambiamenti in atto nella sua sfera esistenziale: "Prima di questa crisi i cinesi eravamo noi. Pieni di lavoro, ma anche di solitudine. Chiusi nello stanzone a sgobbare da mattina a sera. Solo ora, scendendo dalla giostra, mi rendo conto di quante cose mi sono persa per stare dietro a quei ritmi. Solo ora sto ricominciando a coltivare delle amicizie vere, e a parlare con mia figlia di 23 anni. Durante la sua adolescenza abbiamo vissuto accanto come estranee, me ne rendo conto solo ora". Ora che Tiziana, studentessa universitaria, sale sul palco della manifestazione, con coraggio, davanti alla mamma: per prendere la parola, strigliare le istituzioni e dare corpo alla resistenza.

Per vedere il documentario "Di tessuti e di altre storie", clicca qui http://www.onthedocks.it/it/00023/58/page.html   
     

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