lunedì 26 settembre 2011

Sovranità alimentare, per tutti


Gli ultimi dati della Fao, sentinella mondiale anti-denutrizione, ci dicono che oggi nel mondo una persona su 6 sta soffrendo la fame. La prima cosa che pensi per spiegarti questo dato umiliante è che il cibo non sia abbastanza per tutti. In realtà gli stessi dati Fao attestano che ci sarebbe da mangiare per 12 miliardi di persone, quasi il doppio degli abitanti del pianeta. Quindi il problema (aumento della popolazione permettendo) non è di scarsità, quanto di accesso.

Prendiamo il caso della Somalia, regione del mondo che negli ultimi mesi ha fatto maggiormente parlare di sé riguardo all'emergenza fame. Il circo mediatico ha liquidato il dilagare della carestia nel Corno d'Africa dando la colpa alla siccità, che certamente è una concausa, ma non la fonte originaria dei guai e dei morti di fame. Alla radice, come argomenta Esther Vivas in un articolo pubblicato nel mese scorso dal quotidiano spagnolo El Pais, c'è un deficit preoccupante in termini di sovranità alimentare. La Somalia, come del resto la maggioranza dei paesi africani, è stata interessata negli ultimi anni dal discusso fenomeno del "Land-grabbing", ovvero dell'acquisto a prezzo di saldo di migliaia di ettari (a volte equivalenti a intere regioni italiane) da parte di multinazionali o di stati stranieri avidi di terra coltivabile, come i paesi della penisola arabica, oppure la Sud Corea o la Cina. Questa nuova forma di colonialismo, avallata dalla corruttibilità estrema dei governanti africani, ha portato ad espropri di massa ai danni dei piccoli proprietari terrieri, con effetti devastanti in termini di autosufficienza agricola per la popolazione indigena. Al resto poi ha pensato il nostro caro Fondo Monetario Internazionale (espressione dell'egemonia finanziaria degli stati occidentali) che dopo aver inondato negli anni 70 e 80 gli stati africani di prestiti incondizionati, ha poi commissariato i governi di quegli stessi paesi, per imporre politiche draconiane di austerity finalizzate al ripagamento forzoso del debito pubblico accumulato. Una sorta di anteprima del dramma sociale oggi in corso nei paesi dell'Europa meridionale. I diktat neo-liberisti degli anni 90 hanno portato numerosi stati africani ad aprire i loro mercati alle eccedenze agricole provenienti da Europa e Nord America, inizialmente svendute a prezzi così irrisori da costringere gli agricoltori locali a uscire dalla produzione e convertire i propri terreni alle monocolture da esportazione (tè, caffè, cacao, frutti esotici...). Solo che nel giro di pochi anni il prezzo dei beni di prima necessità (un tempo autoprodotti e adesso importati) ha subìto impennate considerevoli, a causa delle speculazioni finanziarie internazionali e della debolezza delle monete locali. Così in Somalia il prezzo del grano è più che raddoppiato negli ultimi 12 mesi. E le stesse impennate ai prezzi delle materie prime agricole si sono verificate nei paesi del Nordafrica attraversati dai moti popolari di quest'anno. Non a caso in Algeria e Tunisia si è parlato a più riprese di "rivolte del pane".
Ma dall'altra parte del Mediterraneo? Come ce la passiamo noi altri a livello di sovranità alimentare? Di certo non c'è da stare allegri. Da noi l'autosufficienza agricola non sembra in discussione. Esiste però un problema grave in termini di disparità economiche fra produttori e intermediari. La forbice che separa il prezzo al dettaglio dalla remunerazione corrisposta al produttore agricolo si sta allargando sempre più: in Spagna nel 2010 è stata valutata nel rapporto di 4 a 1 nel settore delle mele, di 7 a 1 per l'uva e i limoni, di 6 a 1 per le cipolle. Questo significa che la stragrande maggioranza di quanto noi paghiamo per alimentarci è catturata dagli intermediari: in parole povere, i giganti della grande distribuzione. Questa sperequazione così pronunciata degli introiti sta portando tante piccole aziende agricole alla chiusura, incentivando i produttori che per obbedire ai prezzi imposti dal cartello dei supermercati si affidano allo schiavismo e alla disperazione dei migranti africani (vedi Rosarno, Nardò, Villa Literno). L'antidoto a questo vortice di ingiustizia è ancora una volta nelle nostre mani, e si chiama filiera corta. Significa organizzarsi per fare a meno del supermercato. Saltare l'intermediario, e contattare direttamente l'azienda agricola del territorio, così da corrispondere a chi coltiva il giusto margine di guadagno, e assicurare a noi stessi un modo di mangiare più sano e sostenibile.

Clicca qui per scoprire il gruppo di acquisto solidale più vicino a casa tua http://www.retegas.org/index.php?module=pagesetter&tid=3        

Nessun commento:

Posta un commento

(si prega la sintesi)