mercoledì 26 dicembre 2012

Ha perso Rosy, ha perso l'Italia


Rosy Canale è una giovane di Reggio Calabria, figlia di un sindacalista ferroviere e di una casalinga. Si diploma, poi si trasferisce a Pisa per laurearsi in lingue. Ci scappa anche un brillante dottorato a New York. Ma la vera passione di Rosy è la musica: la ragazza ha una bella voce e dei gusti raffinati; studiando negli Usa entra in contatto con mode e tendenze che nella sua Reggio sono ancora di là da venire. Avrebbe dunque tutte le carte in regola per aprire un locale notturno nella sua città. E l'occasione buona si presenta. Rosy in pochi mesi mette su il disco-pub più in voga in riva allo Stretto. Gli affari vanno a gonfie vele, finché a un certo punto la ndrangheta si mette di traverso.

I boss non vengono a chiedere un vero e proprio pizzo, ma pretendono di non avere ostacoli nello spaccio di droga all'interno della discoteca. Rosy non ci sta, allestisce un servizio di vigilanza interna per allontanare gli spacciatori. Rosy resiste ai primi tentativi intimidatori dei malavitosi, che allora decidono di alzare il livello del conflitto, per darle una lezione. Le tendono un agguato a notte fonda, dopo la chiusura del locale. Pedinano la sua macchina con un motorino. Lei tenta con sfrontatezza di farli deragliare con una frenata secca e una curva audace. Troppo audace. Il motorino cade, ma anche la macchina di Rosy va a schiantarsi contro un'auto parcheggiata a fianco. A quel punto i due picciotti caduti dal motorino sono fuori di loro stessi: raggiungono Rosy e la massacrano di botte, sfigurandole la faccia, facendole cadere parecchi denti e lesionandole gravemente un femore.
La vita di Rosy, che nel frattempo è diventata anche una giovane ragazza madre, da quel momento non è più la stessa. Il trauma e la paura sono troppo forti per denunciare alla polizia o per resistere ancora. La giovane donna decide di svoltare: chiude il locale su due piedi e si trasferisce presso un'amica a Roma insieme alla bambina, per cambiare vita. La parentesi nella capitale dura più di 10 anni, finché il giorno di Ferragosto del 2007 Rosy si scopre incantata davanti al telegiornale. E' il giorno della strage di Duisburg, la guerra intestina in seno alla ndrangheta che colpisce alle spalle perfino una tranquilla cittadina tedesca. Le prime notizie riconducono la sparatoria di Duisburg alla cosiddetta "faida di San Luca", una guerra che coinvolge gruppi di famiglie ndranghetiste tutte provenienti dallo stesso remoto paesino dell'Aspromonte. Quelle immagini e quel sangue riaprono improvvisamente le ferite del passato di Rosy. Ma la scossa più potente per la giovane mamma calabrese in esilio a Roma deve ancora arrivare. Arriva pochi giorni dopo, con le immagini dei funerali, quando le telecamere radunate intorno alla chiesa di San Luca ritraggono il vestito bianco di Teresa Strangio, sorella di uno dei ragazzi uccisi a Duisburg. Teresa è l'unica donna vestita di bianco fra le decine di signore in nero radunate fra le panche. Il nero è il colore del dolore ma anche quello del rancore. Il bianco invece, come precisa con voce rotta Teresa ai giornalisti, è il colore del perdono e della pace. Il bianco di Teresa era il colore di chi voleva spezzare quel circolo vizioso della vendetta. Il bianco di Teresa è stata la molla che ha convinto Rosy a fare di nuovo le valigie, a lasciare le sicurezze romane e a tornare in Calabria.
Rosy è tornata sul campo. Tornata inanzitutto per conoscere di persona Teresa, la donna della pace. E poi tornata per lasciarsi divorare dall'amore per la sua terra bella e maledetta. Tornata per guardare di nuovo la ndrangheta a testa alta. Per questo suo ritorno all'impegno civile, Rosy ha scelto proprio San Luca come campo di battaglia. Rosy si è data da fare per portare un raggio di speranza in quel paese dilaniato dall'odio. Ha cominciato dalla scuola media, dove è riuscita a entrare come educatrice e a coinvolgere i ragazzini in un corso di pittura. E infine si è rivolta alle donne, a Teresa e alle altre decine di ragazze e signore del paese che hanno accettato la sua proposta. Rosy ha fatto nascere il Movimento Donne di San Luca, accogliendo alle riunioni chiunque ne avesse voglia, senza richiedere certificati antimafia o dichiarazioni di intenti. A Rosy i proclami non interessavano. A lei interessavano i progetti, le possibilità concrete di cambiamento per il paesino: un laboratorio di cucito per le donne dell'associazione, un locale dove riunirsi, una mostra fotografica allestita a New York con i primi piani delle donne belle e ritrose del Movimento. L'ultima idea di Rosy avrebbe dovuto compiere ancora un passo in avanti sulla via della riscossa sociale e culturale di San Luca: si trattava di una ludoteca, da costruire al centro del paese, gestita dalle donne del Movimento e destinata a tutti i bambini sanluchesi; una casa dove giocare, imparare, crescere con valori diversi da quelli della strada.
Il progetto-ludoteca è partito nel 2009 grazie a uno sponsor privato importante: per farlo continuare serviva un investimento pubblico, necessario per coprire le spese di gestione e i rimborsi spese alle mamme educatrici. Rosy quei soldi pubblici li ha cercati con tutte le sue forze. Ha bussato a mille porte, dalla prefettura ai sindaci fino alla regione. Nessuno ha detto sì. Così l'anno scorso la ludoteca è stata costretta a chiudere. E l'esperienza rivoluzionaria del Movimento Donne, che stava cominciando a bucare il video richiamando la meraviglia di testate nazionali e internazionali, ha subito una brusca battuta d'arresto. Rosy ha ammesso la sua sconfitta, accettando a malincuore una opportunità di lavoro lontano dalla Calabria. Ma al contempo, almeno stavolta, non ha accettato di tenere per sé la rabbia e lo sconforto incontrato di fronte a quella sfilza interminabile di porte chiuse. Da qui l'idea di raccontare la sua storia in un libro (bellissimo) scritto a quattro mani con la giornalista del Corriere della sera Emanuela Zuccalà. Grazie a questo libro ("La mia ndrangheta", edizioni Paoline) la storia di Rosy Canale è arrivata fino a me, e attraverso queste righe anche a voi che state leggendo. Il libro merita di essere letto, perché aiuta a capire la Calabria e San Luca al di là dei facili stereotipi giornalistici; perché fa emozionare durante l'altalena di stati d'animo della protagonista e delle sue valorose "moschettiere" del Movimento; ma soprattutto perché la denuncia finale che esso contiene deve diventare anche la nostra denuncia. Denuncia non solo e non tanto contro la ndrangheta, ma contro le istituzioni complici, che dovrebbero rappresentarci e che invece finiscono per abbandonare realtà magiche e dal valore inestimabile come quella del Movimento Donne di San Luca. Se siamo ancora capaci di sentimenti e di passione civile, la nostra indignazione deve essere gridata a voce alta. Non avere poche migliaia di euro annuali da spendere per evitare di chiudere la ludoteca, quella ludoteca, è una vergogna che dimostra una volta in più quanto l'attuale classe politica italiana (dal "premier credibile" fino all'ultimo dei sindaci collusi) stia diventando totalmente avulsa dal concetto di bene comune.
Tommaso Giani

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