lunedì 17 dicembre 2012

Gesù Bambino gioca a rugby



Il periodo natalizio nel quartiere Librino di Catania è un tripudio di effetti speciali. I casermoni dell'edilizia popolare sono fasciati con addobbi elettrici che li accendono e li colorano a getto continuo. E anche il cielo serale, rabbuiatosi per il sole della domenica appena tramontato, diventa teatro di giochi di luce che tolgono il fiato: sono fuochi d'artificio spettacolari, lanciati sopra i tetti con ritmo incalzante e con sequenza studiata. Io questa sorpresa, un po' kitsch ma non priva di fascino, ho la fortuna di gustarla dall'alto di una collinetta che domina i palazzi-alveare e i suoi festoni al neon. Ho soprattutto la fortuna di essere qui non da solo, ma in compagnia di una guida d'eccezione, che del quartiere Librino conosce vita morte e miracoli: "I fuochi - mi spiega la guida - sono lanciati dalla gente del quartiere, per allietare le serate dei boss che sono agli arresti domiciliari".

La mia guida si chiama Piero Mancuso, catanese di 47 anni, agronomo di professione e allenatore di rugby nel tempo libero. Piero è stato l'artefice di un sogno diventato realtà: quello di portare il suo sport preferito nel quartiere più difficile della città; il quartiere Librino, appunto. Librino che nell'immaginario del potere della criminalità organizzata occupa un posto d'onore: città satellite di 70mila abitanti, grumo di case popolari senza servizi e senza spazi comuni, da sempre terreno fertile di Cosa Nostra che da queste parti ha impiantato non a caso una delle principali piazze di droga a livello nazionale.
"La povertà di Librino prima ancora che materiale è culturale - analizza Piero, l'allenatore-agronomo - il tessuto sociale è fatto di famiglie ancora ferme a un quadro di valori ancestrali: a Librino i genitori pressano i ragazzini perché si sposino e facciano figli già alla soglia della maggiore età, senza consapevolezza e senza responsabilità; a Librino in tanti vivono nell'illegalità non tanto perché abbiano fatto una scelta quanto perché vittime di una ragnatela di esclusione e di mancanza di futuro".
Per offrire ai picciriddi di Librino una via di uscita da questa ragnatela, Piero investe con entusiasmo un sacco del suo tempo libero. Dapprima insieme al suo gruppo di amici trasognati ha messo su un centro ricreativo con doposcuola e ludoteca. Poi, nel 2006, è sopraggiunta l'idea del rugby. "E' uno sport di squadra in misura ancora maggiore rispetto al calcio. Nel rugby non c'è né il lancio lungo né il tiro da lontano: qui se non passi la palla di continuo non vai veramente da nessuna parte. E poi nel rugby c'è più fisicità, così i ragazzi possono sfogarsi, scaricarsi, trasformare in positivo tutte le loro energie. Per non parlare del fair-play, dell'amicizia e del pranzo insieme agli avversari dopo la partita: cose che nel rugby sono pane quotidiano, e che permettono ai nostri giovani di respirare un clima opposto rispetto a quello nel quartiere, dominato dalla legge del più forte".
Piero, che come rugbista aveva giocato poco e male, come allenatore si sta scoprendo un autentico mago. Infatti la sua scommessa è stata stravinta. Decine di ragazzi hanno risposto al suo invito, e in pochi mesi sono state allestite quattro squadre giovanili (una per ogni fascia di età) più la prima squadra che partecipa al campionato siciliano di serie C. Stamani ho seguito Piero al campo di rugby vicino all'aeroporto dove i Briganti Librino (questo il nome provocatorio dato alla squadra) hanno giocato due partite: non ho portato bene visto che sono arrivate due sconfitte; però mi sono potuto rendere conto di quanta strada la scommessa di Piero abbia compiuto in questi anni; ho visto i ragazzi fare gruppo, rispettare le regole, non accennare la minima protesta, e a fine partita ricevere gli applausi e la passerella di rito da parte degli avversari.
Tuttavia, al di là dei risultati spiccioli, è qui sulla collinetta di Librino che Piero e i suoi Briganti stanno giocando la partita più importante: una partita cominciata il 25 aprile scorso, quando i ragazzi sono saliti per la prima volta su questo poggio e si sono rimboccati le maniche. Obiettivo: costruire un impianto sportivo, il campo casalingo dei Briganti. Il punto di partenza era un rudere costruito a metà del 1997 dal comune di Catania in occasione delle Universiadi. Un campo sportivo e due palestre mai finite e mai utilizzate, lasciate per 25 anni nel più completo abbandono. Fino all'intervento dei Briganti, che durante la primavera hanno cominciato a rimettere in sesto il prato e a liberare dai calcinacci e dall'immondizia le due palestre attigue. Oggi le due palestre sono diventate fruibili, con tanto di allacciamento elettrico, docce, sanitari. Sono nate collaborazioni con altre società sportive catanesi per l'uso delle palestre, mentre sul campo giù in basso, il San Teodoro liberato, le varie squadre dei Briganti svolgono gli alllenamenti. "Per giocare qui le partite ufficiali manca ancora del lavoro, bisogna pareggiare meglio il campo e allestire bene gli spogliatoi; contiamo di giocare qui a partire dalla prossima stagione". Le spese e gli sforzi sono stati tanti, ma altrettanti sono stati i compagni di strada che hanno aiutato Piero e i ragazzi a dar vita a questo impianto: sponsor, associazioni, persone singole, perfino la Rai, che l'anno scorso ai Briganti Librino ha dedicato un lungo servizio sulla seconda rete. Silenzio totale, invece, è stata la risposta delle istituzioni e dei partiti: l'amministrazione comunale si sta addirittura mostrando ostile al progetto di recupero del campo San Teodoro; una volta che i lavori all'impianto sono entrati nel vivo, il Comune ha cominciato a reclamare questi spazi come di sua proprietà, su pressione dell'ordine religioso dei salesiani, che su questo spicchio di quartiere recuperato pare aver allungato le sue mire (chissà cosa ne penserebbe il loro fondatore don Bosco...).
Il rischio di un vergognoso sfratto, quindi, esiste eccome. Ma i Briganti non mollano. Anzi, rilanciano l'azione. Nei locali adibiti a palestre hanno trovato spazio pure un salone dove proiettare le partite di rugby in tv, un laboratorio di serigrafia per autoprodurre le magliette da gioco, una sala ping-pong e altri luoghi ricreativi ancora da plasmare; mentre nei prati intorno al campo San Teodoro sono iniziati proprio in questi giorni i lavori per dar vita (accanto all'arena per spettacoli) una serie di orti di quartiere dove imparare a coltivare la terra. Le attività sportive ed extrasportive nell'oasi in mezzo ai casermoni si moltiplicano, e ormai decine di ragazzi passano al campo San Teodoro quasi tutti i pomeriggi. "Molti di questi ragazzi - tiene a precisare Piero" - hanno genitori che delinquono, che non li seguono, che non vengono nemmeno a vederli giocare la domenica, ma che comunque li lasciano venire a fare rugby. La nostra filosofia non è quella di parlare di antimafia a voce alta, perché così si corre il rischio di scavare trincee ideali fra noi e le famiglie del quartiere, molte delle quali di illegalità vivono. Si creerebbe un clima di paura, e i ragazzi scapperebbero. Noi piuttosto che coi proclami preferiamo combattere la mafia coi fatti, con l'educazione dei ragazzi, coi valori, con la fiducia e con l'affetto che proviamo a trasmettergli". E i risultati si vedono. E a me, col Natale che si avvicina e con l'annuncio ai poveri della "buona notizia" da attualizzare, piace pensare che se Gesù nascesse oggi si adatterebbe volentierissimo a trasferire la sua Betlemme su un campo di rugby: quello dei Briganti.
Tommaso Giani                 

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