martedì 10 luglio 2012

Siamo tutti minatori



C'è un gruppo di mille minatori che da due settimane sta solcando a piedi le strade della Spagna. Hanno camminato per 400 chilometri, partendo dai loro villaggi nelle Asturie. E stasera arriveranno a Madrid. Si accamperanno nella centralissima Plaza del Sol, e domani muoveranno verso i palazzi del governo, per protestare contro la decisione del primo ministro Rajoy di tagliare del 65% la spesa pubblica per il settore minerario. Un risparmio che si tradurrebbe, secondo i sindacati, nel licenziamento di 14mila lavoratori.


La chiamano la "marcha negra", quella che sta conquistando il cuore di milioni di spagnoli. Negra per il colore della fuliggine che regolarmente si attacca alla pelle di chi lavora per estrarre il carbone dalle profondità del suolo. Non è un lavoro salubre, e nemmeno ecologico, visto che l'energia termoelettrica prodotta bruciando il carbone è una delle più inquinanti in assoluto. Senza contare che il carbone da tirare fuori dalle miniere prima o poi si esaurirà. Insomma, da una riconversione energetica non si scappa, il futuro sono le energie rinnovabili.
Ma le migliaia di minatori asturiani di futuro ne vedono ben poco. Le politiche di austerity imposte dall'Europa neo-liberista (quella che vuole ridurre al minimo il ruolo dello stato strozzandolo al cappio degli interessi sul debito pubblico) stanno costringendo i governi euro-mediterranei a scelte prive di ogni prospettiva. Si chiude non per aprire qualcosa di nuovo. Si chiude semplicemente per sopravvivere: per ricevere un nuovo prestito a un interesse sempre più alto in cambio di nuove privatizzazioni, nuove tasse e nuovi licenziamenti. I minatori e i loro sindacati non saranno raffinati analisti economici, però nella loro testa il campanello d'allarme è suonato da tempo. E loro sono lavoratori abituati a lottare, di certo non sprovvisti del coraggio che serve per attuare manifestazioni di protesta in grande stile. Furono gli stessi minatori asturiani, non a caso, ad accendere nel 1962 la miccia dello storico sciopero generale contro il dittatore Francisco Franco. Da allora sono diventati un po' il simbolo nazionale della lotta operaia, dei lavoratori che lottano, che non si arrendono, e che alla fine qualcosa ottengono.
La decisione del governo spagnolo di smantellare il sistema minerario pubblico senza investimenti alternativi è trapelata già da due mesi. Da due mesi infatti i minatori delle Asturie sono rimasti senza salario. Sette di loro hanno scelto di lottare andando a vivere dentro la miniera, a 200 metri di profondità: una protesta stoica che va avanti tuttora, nonostante l'assenza di luce del sole e il tasso pazzesco di umidità. Altri mille invece hanno deciso con non meno spregiudicatezza di mettersi in marcia verso Madrid, occupando le strade, le ferrovie, facendo sosta in ogni centro urbano per sensibilizzare gli abitanti riguardo la loro situazione. Il documentario realizzato sul campo da una tv iraniana in lingua inglese immortala immagini commoventi: il corteo dei minatori che attraversa i centri abitati, accolto dagli applausi delle donne alla finestra e dalla banda filarmonica di paese. Grazie all'infinita dedizione di questi minatori, quella che fino a due mesi fa era una delle tante vertenze della crisi spagnola si è imposta gradualmente agli occhi dell'opinione pubblica come "la vertenza". La fotonotizia della marcha negra in arrivo alle porte della capitale si è guadagnata un posto sulla prima pagina del sito internet del Pais. In occasione dell'ultimo tratto, stasera e domani, per le strade di Madrid, dalla periferia fino al palazzo del governo, si uniranno alla marcia tanti cittadini comuni. Le possibilità di far cambiare idea al governo sono risicatissime, tenendo conto soprattutto delle limitazioni di sovranità nazionale a cui sono soggetti in questo periodo gli stati europei più indebitati. Ma il vero obiettivo dei mille minatori in marcia è più ad ampio raggio: risvegliare il senso di cittadinanza degli spagnoli, che giorno dopo giorno rischia di avvizzire sotto il peso della rassegnazione e dell'individualismo, con lo zuccherino delle vittorie della nazionale di calcio a fare da anestetico. Accanto a quella Spagna c'è anche un'altra Spagna: un popolo che sta rimanendo senza lavoro e senza pane, ma non per questo ha perso la voglia di lottare per la democrazia. Democrazia partecipata: fatta di fatica, di dialogo, di condivisione, di piazze piene e di diritti sociali.  
Tommaso Giani

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