giovedì 12 luglio 2012

La buona scuola che spaventa il sindacato



Si chiamano Charter schools, che tradotto in italiano significa "scuole a progetto". Sono una delle vittorie più importanti del presidente Obama, che su di esse ha puntato forte durante i 4 anni della sua amministrazione. Parliamo di scuole pubbliche innovative, autogestite completamente dagli insegnanti, e rifinanziate dopo cinque anni dal governo americano solo se gli obiettivi di rendimento sottoscritti nel "charter" sono stati raggiunti. La riuscita di questo nuovo tipo di scuola è attestata dalle sempre crescenti liste di attesa nonché dai risultati delle ricerche accademiche, che evidenziano come a ottenere i risultati didattici più lusinghieri (nel confronto con le scuole pubbliche tradizionali) siano le charter schools delle periferie più povere delle grandi città.

 Le scuole a progetto sono ancora un fenomeno di nicchia nel panorama dell'istruzione pubblica statunitense: costituiscono a oggi il 4% dell'offerta formativa federale, con circa 2 milioni di studenti dalle elementari alle superiori. Il fenomeno comunque è in continua crescita, grazie alla precisa scelta politica dell'attuale governo democratico. Le punte di popolarità sono a Washington, dove quasi la metà delle scuole pubbliche è caratterizzata dalla modalità "a progetto", e soprattutto a New Orleans dove - sulle ceneri dell'uragano Kathrina del 2005 - le charter schools sono fiorite a grappoli, fino a costituire l'attuale 60% delle scuole pubbliche. E tutto lascia pensare che il trend ascensionale prosegua in tutti gli Stati Uniti, considerando che le liste di attesa sono affollatissime, in media 150 richieste di iscrizione non soddisfatte in ogni charter school.
Ma cosa si nasconde dietro il clamoroso boom? Quali sono i segreti e le peculiarità più importanti di questo nuovo modello? La prima cosa da precisare è che si tratta di scuole pubbliche tout-court in quanto a gratuità nell'accesso. I fondi pubblici coprono interamente le spese. L'unica barriera, come detto, è la limitatezza dei posti disponibili che obbliga le charter school a selezionare con un sorteggio i nomi degli ammessi. La differenza sostanziale sta piuttosto nell'autonomia. Queste scuole nascono dal basso, ovvero da gruppi di giovani insegnanti o da aziende specializzate che decidono di mettersi in gioco. Gli unici paletti che mette il governo nel redigere il progetto con questi gruppi di professionisti dell'istruzione sono la modalità dell'esame alla fine del corso di studi (che deve essere in linea con gli standard nazionali) e la crescita nei risultati didattici, misurati in base ai risultati degli studenti nel proseguo dei loro studi oppure tramite test somministrati all'interno della scuola da personale indipendente. Questi risultati sono pattuiti e messi nero su bianco nel progetto quinquiennale, alla fine del quale si tireranno le somme: le scuole che hanno ottenuto i risultati promessi vedranno i loro finanziamenti e i loro progetti rinnovati; le scuole invece che falliscono gli obiettivi vedranno tagliati i loro fondi. Ebbene, al di fuori di questi due vincoli (esame finale standard e risultati didattici in 5 anni), i responsabili della charter school sono liberi di utilizzare i fondi come meglio credono, e sono parimenti liberi di darsi le regole che vogliono. Il calendario dell'anno scolastico ad esempio può essere stravolto, diluendo le vacanze in modo omogeneo durante tutto l'anno al posto della maxi-sosta estiva. Inoltre ogni scuola a progetto è libera di elaborare piani didattici su misura, adatti al particolare contesto sociale in cui la struttura sorge: specifiche infatti sono le esigenze e i punti di partenza di una scuola del quartiere nero di Harlem a New York rispetto a una scuola immersa nella campagna sperduta del mid-west.
Di fronte a questa nuova realtà i sindacati americani della scuola hanno reagito con veemenza, evidentemente sentendosi sotto attacco. Nell'autonomia delle charter school, infatti, rientra la possibilità di derogare a clausole del contratto nazionale degli insegnanti: per esempio, varie charter school prevedono orari diversi da quelli previsti dal contratto nazionale, oppure contemplano la presenza occasionale nelle classi di un monitoratore, incaricato di osservare dal vivo una lezione dell'insegnante per poi consigliarlo su metodi e strategie. Inoltre nelle scuole a progetto manca per definizione il concetto di posto fisso. Per i responsabili della scuola è molto più facile licenziare: lo stesso concetto di scuola a progetto implica una provvisorietà intrinseca del posto di lavoro, che va avanti quinquiennio dopo quinquiennio solo se la scuola riesce a centrare gli obiettivi fissati nel patto con lo stato.
L'esperienza delle charter school appare lontana anni luce dal panorama scolastico italiano, ma forse (facendo finta di avere i soldi pubblici necessari per un investimento simile) varrebbe la pena provare. Anche noi, purtroppo, abbiamo le nostre Harlem italiane: quartieri difficili, dove il tessuto sociale è logoro e la missione della scuola pubblica - già in partenza improba - soccombe di fronte a logiche clientelari e parassitarie. Penso per esempio alle tante giovani insegnanti meridionali, eccellentemente preparate eppure costrette a migrare verso nord in cerca di una cattedra. Perché non dare loro la possibilità di fare gruppo, di scrivere un progetto, di ottenere carta bianca dallo stato per costruire una loro scuola, sul loro territorio, con il loro entusiasmo, bypassando la burocrazia in cambio di un risultato formativo misurabile negli anni? Non so voi, ma io firmerei subito.
Tommaso Giani  

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