sabato 7 gennaio 2012

Viva la Chiesa che resiste


C'è un portoncino anonimo, senza insegna, nascosto nell'ombelico di Pisa. E' lì dentro, a metà strada fra piazza dei Cavalieri e borgo Largo, che fa base la nuova Resistenza. Alle ore 15 di ogni giorno lavorativo si aprono i battenti, e i feriti di guerra cominciano ad affluire. Sono uomini, donne e bambini. Hanno facce provate, vestiti logori, borse di fortuna, scarpe infangate. Un nemico invisibile li sta braccando in ogni periferia: colpisce con la disoccupazione, con gli sfratti, con l'impoverimento e l'assenza di futuro. Le vittime aumentano, gli ultimi bollettini parlano chiaro. Ma i nostri partigiani non si perdono d'animo. Così anche oggi dietro quel portone "di montagna" c'è una brigata solidale al lavoro, pronta a soccorrere e confortare tutti i reduci della trincea.

La squadra dei volontari Caritas di Pisa è variopinta e intergenerazionale: fatta di pensionati iperattivi, seminaristi alla mano, volontari e volontarie del servizio civile, aiutanti di passaggio. Fra questi ci siamo anche noi degli scout di Peccioli, che ci uniamo al gruppo per due giorni di servizio, entusiasti e piacevolmente stupiti. Dietro il portoncino scopriamo un sacco di cose da fare: qui di sicuro non si rischia di rimanere con le mani in mano. Fin dalla mattina inizia un via vai di furgoni che arrivano a scaricare, con annesse catene umane per passarsi di mano casse e cassette. Entrano le bevande respinte ai check-in dell'aeroporto. Entrano i pacchi della colletta alimentare, insieme a tanti prodotti difettosi (o vicini alla data di scadenza) prelevati dai supermercati cittadini e salvati in extremis dalla pattumiera. E poi c'è tutto il filone della merce contraffatta, sequestrata nel porto della Spezia e rimessa in circolo gratuitamente sempre tramite la Caritas pisana. Nei magazzini partigiani convergono altri scatoloni pieni di cineserie: palloni da volley, scarpe sportive e abbigliamento da sfogliare, selezionare, ordinare.
Il settore della grande re-distribuzione vive di meccanismi oliati e di un coordinamento notevole. Servono tempo e criterio per suddividere bene la merce sugli scaffali, e soprattutto per dirigere il traffico sempre crescente delle persone che chiedono aiuto. Le famiglie in fila per il pacco spesa si portano appresso i nomi e le sembianze più disparate: est Europa, Africa, Sudamerica, ma anche tanta Italia. Fuori fa freddo, la guerra della povertà infuria. Dentro però si sta bene. C'è un bel clima, accogliente, familiare. La saletta d'aspetto ha l'albero, gli addobbi natalizi e un vassoio pieno di dolci. I volontari, soprattutto le ragazze che indubbiamente ci sanno fare più dei maschietti, trovano facilmente il grimaldello per entrare in conversazione. Così insieme alla spesa si regalano chiacchiere e attenzioni. Per chi vuole fare un punto della situazione con gli operatori c'è in funzione il centro d'ascolto. E sempre negli stessi locali è attivo un servizio docce.
Mi imbatto nelle facce vigili e intelligenti di tre fratellini ecuadoriani (due sorelle e un fratello) passati con i genitori a ritirare il pacco alimentare. Fanno le elementari qui a Pisa, dicono di saper bisticciare indifferentemente sia in italiano che in spagnolo. A guardarli ed ascoltarli il cuore si scioglie, e pensi che forse le pubblicità dell'otto per mille non sono poi così finte. In mezzo a tante incoerenze, privilegi e titubanze insopportabili, fa piacere toccare con mano un pezzetto di chiesa che almeno si sforza di camminare dalla parte giusta. Quella dei più deboli.             
Tommaso Giani               

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