sabato 26 gennaio 2013

In sciopero per la pipì


In Cina è cominciata la stagione delle rivendicazioni operaie. A Pechino e dintorni la parola sciopero non è più un tabù. Le forme di protesta si stanno intensificando, e i diritti da reclamare sono tantissimi, a cominciare dalla banalissima facoltà di espletare i propri bisogni fisiologici: già, perché in molte fabbriche cinesi il tempo per andare a fare pipì è assente oppure dannatamente contingentato (2 minuti ogni giornata), e per chi infrange il divieto è prevista prima una multa e poi il licenziamento. Una condizione barbara, a cui mille operai metalmeccanici di Shangai si sono ribellati ottenendo una vittoria simbolo.

La notizia arriva dalla Shinmei, azienda cinese che produce componenti per l'elettronica. Qui gli operai in lotta per il diritto alla pipì hanno deciso di sequestrare dentro i capannoni 18 dirigenti dell'azienda. Fuori dalla fabbrica si è subito creato un ingente spiegamento di forze dell'ordine, ma i mille operai occupanti hanno tenuto duro, e non hanno liberato i manager prima di aver ottenuto la promessa che le norme sul divieto di andare in bagno sarebbero state riconsiderate.
La protesta delle tute blu Shinmei dello scorso fine settimana è solo l'ultima delle proteste operaie scatenate negli ultimi mesi in Cina. Sono proteste coraggiose, perché in Cina il diritto di sciopero non esiste così come non esistono i sindacati. Eppure i lavoratori stanno ugualmente prendendo coscienza del potere negoziale che riescono a dispiegare non appena gli operai singoli diventano massa critica.
La censura mediatica del regime di Pechino non riesce a filtrare del tutto queste notizie scomode; i social network sono pressoché impossibili da addomesticare, e allora il tam tam delle proteste si diffonde, incoraggiando altri operai a scendere in piazza. Così alla Chung Tai Printing 4000 lavoratori hanno iniziato uno sciopero da pionieri per ottenere gli scatti d'anzianità. Gli operai di un'azienda edile di Wuhan sono scesi in strada a ballare per attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica riguardo i ritardi nei pagamenti dei loro stipendi da parte del datore di lavoro. Alla Jingshenghong Electronics gli operai hanno occupato una strada per chiedere e ottenere un adeguamento salariale, che prima della protesta era addirittura al di sotto del minimo stabilito dalla legge. Per non parlare delle proteste dei lavoratori Foxonn, il gigante dell'industria elettronica nazionale (il produttore di tablet e telefonini per conto dei maggiori marchi planetari): in questa realtà, dove il tasso di suicidio all'interno degli stabilimenti è a livelli record, il riflettore sulle condizioni limite a cui sono sottoposti gli operai si è acceso prima che altrove. Prima le campagne di un gruppo di attivisti di Hong Kong, poi gli scioperi delle maestranze a partire da settembre hanno portato la Apple a riconoscere il proprio imbarazzo per i comportamenti tenuti dal suo principale contractor cinese. E la primavera dei diritti sindacali in Cina ha avuto inizio.    

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