venerdì 20 gennaio 2012

Basta supermercati

                                                      

Ieri sera, grazie a un bel programma di Raidue a tarda notte, il grido degli allevatori è entrato nelle case degli italiani. Gli allevatori dicono che un litro di latte viene pagato loro dalla grande industria casearia (Parmalat, Granarolo e compagnia) circa 30 centesimi. Agli stessi allevatori quel litro di latte costa circa 40 centesimi. Il che significa lavorare in perdita. Allora ecco il perché dei famosi sforamenti delle quote latte imposte dall'Unione europea: si prova a far lavorare di più le mucche nel tentativo di diminuire il passivo, ma in questo modo l'offerta di latte è ancor più inflazionata, e il mercato continua a deprimersi. A tutto vantaggio delle grandi marche, che invece continuano bellamente a venderci il latte a circa 1,50 euro al litro, con un ricarico del 150%.


Le 40mila stalle del nostro paese continuano a stare in piedi solo grazie alla stampella dei sussidi europei: la famosa Pac, che l'Europa elargisce come una specie di risarcimento per gli extra-profitti incassati dalle multinazionali. Quelle stesse multinazionali che tengono bassissimi i costi sia facendo cartello ai danni degli allevatori italiani, sia mescolando il latte italiano con il latte in polvere proveniente dal nord e dall'est Europa. Sull'etichetta dei formaggi e del latte che compriamo al supermercato c'è scritto made in Italy, ma basta un semplice controllo in un laboratorio chimico per svelare il trucco della grande maggioranza dei marchi: le tracce del latte in polvere vengono a galla; e latte in polvere significa latte più povero organoletticamente, con meno sapore e meno qualità nutrizionali. Quel latte e quei formaggi però noi continuiamo a comprarli imperterriti, premiando le multinazionali che li commercializzano e pugnalando alle spalle gli allevatori nostri connazionali.
La domanda è: siamo disposti a cambiare il nostro stile di vita e di consumo per riequilibrare la bilancia degli introiti a favore di chi produce davvero? Già, perché di questo si tratta. Cambiare stile di vita vuol dire iniziare a battersi per trovare strade alternative al supermercato. Di qui non si scappa. Il mio esempio riguarda gli allevatori e il latte, ma lo stesso discorso vale anche per tutti gli altri generi alimentari. In fin dei conti si tratta di scegliere. Da una parte c'è l'estrema comodità della grande distribuzione, che permette con una sola sessione di spesa di reperire tutto il necessario per una settimana, ma d'altra parte costituisce lo snodo nevralgico della filiera di sfruttamento sopra accennata. Dall'altra c'è la briga di mettersi in rete con un gruppo di famiglie per andare a contattare un produttore agricolo della zona: accertarsi dei suoi metodi, far valere la filiera corta e acquistare direttamente da lui i prodotti, saltando il passaggio delle multinazionali trasformatrici. Il salto culturale è enorme: comporta la disintossicazione dai marchi e dagli involucri pubblicizzati, il ridimensionamento del lato estetico degli alimenti (l'abito non fa il monaco...) e la rieducazione al sapore vero e genuino delle cose da mangiare e da bere. Il saldo economico per noi consumatori sarebbe più o meno lo stesso: la differenza invece sarebbe per gli allevatori, a cui verrebbe corrisposto finalmente un prezzo equo.
Per anni ci siamo riempiti la bocca del commercio equo e solidale per acquistare a un prezzo giusto i sandali degli artigiani peruviani. Ci siamo un po' dimenticati di applicare la stessa logica anche con l'allevatore di Terricciola. E' vero per fortuna che negli ultimi 5 anni qualcosa di importante ha cominciato a muoversi in questo senso. I gruppi di acquisto solidale si stanno lentamente diffondendo. Nel centro-sud dell'Italia stanno riscuotendo successo i prodotti di Libera, che oltre al discorso di sostenibilità economica e ambientale vantano pure un valore aggiunto in termini di legalità e lotta alle mafie. Sono germogli preziosi, da coltivare con passione ed impegno civile. Ogni volta che riusciamo a schivare il supermercato, acquistando locale con la filiera corta, è il nostro senso civico che riprende fiato.
Tommaso Giani        

Il documentario Tracce sulla crisi degli allevatori: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-337ab599-37ca-44cf-a837-1192b9459da3.html

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